La zona d’interesse: la spiegazione del film di Glazer

"La zona d'interesse" è un capolavoro di contrasti e riferimenti nascosti. La stessa chiusura del film risulta criptica. Tranquilli, ci siamo noi!

La Zona d'Interesse
Credits: okdiario.com
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La zona d’interesse è il film del momento: ecco la nostra spiegazione del finale

La zona d’interesse è giunto da pochissimo nelle nostre sale e già sta facendo parlare moltissimo di sé (qui la nostra recensione). Candidato agli Oscar in varie categorie, tra cui Miglior Film, sta riscuotendo un enorme successo di pubblico e critica. La pellicola del regista britannico Jonathan Glazer è un’opera d’arte che va ammirata come se ci trovassimo di fronte ad una enorme tela, in cui ogni angolo si nasconde un dettaglio mai insignificante.

La chiusura della pellicola è uno scrigno contenente molteplici significati. Ogni spettatore ci vede quello che crede di vedere. Se avete visto il film e vi sono rimasti dei dubbi, sapete già cosa fare: venite da noi! Buona lettura.

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La zona d’interesse: la trama

Rudolf Höß e la sua famiglia, composta dalla moglie Hedwig e dai loro cinque figli, trascorrono le loro giornate nel paesaggio bucolico fuori dal campo di concentramento di Auschwitz, di cui Rudolf è il comandante. La “Zona d’interesse” che da il titolo al film, è proprio il luogo (la villa e gli ettari di campagna) dove la famiglia Höß trascorre le sue giornate, mentre al di là del muro della loro casa si consuma la tragedia che tutti conosciamo.

Gli Höß non sembrano turbati dalle urla e dagli spari che provengono dalla loro casa. Hedwig è concentrata sul crescere i figli e sull’occuparsi della loro “zona d’interesse“, costruita in quattro anni con fatica e sacrifici, e del giardino della loro villetta, luogo idilliaco, contornato da meravigliose piante e fiori.

Ne “La zona d’interesse“, il pensiero principale di Rudolf è “l’efficienza” del suo campo, dei riconoscimenti che gli offrono i suoi superiori e la possibilità di fare carriera, nonostante il parere contrario della famiglia.

Un continuo avvicendarsi di futili problemi e dialoghi mentre, a pochi metri dal loro paradiso domestico, si concretizza l’orrore ordito da Rudolf e dai gerarchi nazisti. Unico elemento che rappresenta in “La zona d’interesse” questo male è il fumo del treno e dei forni, presenti sullo sfondo del cielo come fantasmi.

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La zona d’interesse: meglio servire in paradiso o regnare all’inferno? La spiegazione del finale

Di tutto quello che avviene dentro Aushwitz noi non vediamo niente. Lo possiamo solo immaginare attraverso i suoni e le nostre conoscenze storiche. Gli avvenimenti de “La zona d’interesse” sono incentrati tutti sulla famiglia del comandante, un gigantesco grande fratello dove la vita scorre tranquillamente, senza intoppi, ma nasconde comunque delle incongruenze.

La famiglia, più che appartenere ad un alto rango della società tedesca, sembra appartenere al fondo di essa. Degli sciacalli, arrampicatori sociali, che tramite il genocidio stanno elevando la loro condizione sociale. La stessa madre di Hedwig, moglie di Rudolf, dice di aver svolto pulizie presso la casa di una donna ebrea, chiedendosi se ora sia nel campo che vede dalla casa della figlia. Un ribaltamento sociale avvenuto non per meriti suoi, ma per annebbiamento della mente umana.

Ne “La zona d’interesse“, la famiglia Höß, come un saprofago, saccheggia gli oggetti delle vittime del campo, rimanendo rintanata nella sua tana famigliare. Tale comportamento lo possiamo notare in Rudolf alla fine del film.

Dopo aver ricevuto l’incarico da parte dei gerarchi delle SS di deportare 700.000 ebrei ungheresi ad Aushwitz, si concede una serata di gala in un palazzo dove si tiene un ballo con le alte sfere del nazismo. Il suo comportamento è ambiguo: non riesce a mescolarsi con quella gente, nonostante ormai ricopra un ruolo fondamentale per il suo führer. Se ne sta in disparte, da spettatore di quell’alta società votata allo sterminio.

È in paradiso, guarda tutti dall’alto della balconata. Non è quello, però, il suo posto. Il suo, è l’inferno di Aushwitz, costruito con il suo sudore, dove regna incontrastato, come un Lucifero dantesco. Nel palazzo del gala, tra gli altri gerarchi, è uno dei tanti, deve sottostare a leggi e regole. Le regole vuole e deve farle lui.

Nella scena finale de “La zona d’interesse“, inizia così la discesa, sia fisica che simbolica, di Rudolf verso il livello più basso del palazzo del Reich, dove si trova dopo la festa. Scende le scale dove si fa sempre più buio, verso le tenebre della sua anima e della sua opera: il campo di Aushwitz.

Mentre scende le scale, due volte si ferma perché ha dei conati di vomito, senza però rimettere nulla fuori dal suo stomaco. Si guarda intorno, ai suoi lati ci sono due corridoi non illuminati, mentre la base delle scale lo è. Metafora del passato, presente e futuro, oscuri il primo e il terzo, ben chiaro il presente. Guarda verso uno di questi, ed ha come la visione del futuro: il campo di concentramento di Aushwitz ai giorni nostri, ormai museo dell’olocausto, con una ditta di pulizie intenta a pulirlo, prima che arrivino i visitatori. Terminata la visione, prosegue la sua discesa.

Come interpretare questa scena? Abbiamo immaginato più scenari, che vi proponiamo prontamente. La visione di Rudolf in “La zona d’interesse” può essere vista sia in accezione negativa che positiva. Negativa perché lui, non potendo sapere cosa avverrà nel futuro, vedendo quelle immagini potrebbe pensare che Aushwitz sia un monumento alla sua opera di efficienza, al suo genio, consegnandolo alla storia come eroe del suo paese. La seconda accezione, la positiva, più probabile, è che lui veda come il suo lavoro sarà invece denigrato dalla memoria storica, condannato dall’umanità per gli orrori inflitti, quindi rivoltandosi contro lui stesso e l’operato di lui e dei suoi capi.

Il conato di vomito, in questo caso, sarebbe il senso di colpa. Nel primo, invece, farebbe riferimento al modo in cui Rudolf fu giustiziato nel 1947: impiccato, quindi non staremmo parlando di conati di vomito. ma soffocamento per la corda.

Poco prima di questa scena finale, ne “La zona d’interesse” assistiamo al momento in cui il figlio maggiore di Rudolf rinchiude il fratellino nella serra del loro giardino, metafora dell’emulazione delle azioni del padre, e di come anche non vedendo in prima persona l’orrore del campo, l’influenza del fantasma di Aushwitz vada oltre la semplice sfera sensoriale, e si espanda nelle azioni delle future generazioni, in atti violenti e persecutori che vediamo ancora oggi.

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La zona d’interesse” è un gioiello che vi consigliamo di andare a vedere. Se qualcosa non sarà chiara, sapete dove trovarci! Fateci sapere cosa ne pensate di questa spiegazione nei commenti.

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