The Road: un film per affrontare l’angoscia | RECENSIONE

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The Road, il film post-apocalittico con Viggo Mortensen, non è per deboli di cuore, questo è sicuro. Ma è un film dilaniante la cui energia costringe all’autoriflessione. Assolutamente da riscoprire

The Road, il film di John Hillcoat, è tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy. Si tratta di uno di quei adattamenti cinematografici in grado di restituire agli spettatori le atmosfere descritte sul romanzo. Se le feste spumeggianti e la fotografia dai toni caldi de “Il grande Gatsby” riescono a restare fedeli alla “musica gialla da cocktail” di Fitzgerald; “The road” inscena la cupezza e il terrore tipici del libro.

La trama non è sicuramente fra le più articolate; ma non per questo il film perde d’energia. Viggo Mortensen nei panni di un padre vedevo ha lo scopo di condurre suo figlio quanto più vicino al mare. La vicenda ha luogo in un mondo post-apocalittico in cui ogni forma di vita è scomparsa, ad eccezione di pochi superstiti.

Il clima del Nord-America è ostile. E il cibo scarseggia. Il mondo è diviso fra solitari come i due protagonisti e in piccole comunità; le quali molto spesso decidono di darsi al cannibalismo. Ecco “la strada”, un luogo dove non si è mai al sicuro.

Il film indaga la condizione umana. Come spesso fanno le distopie, in una realtà apparentemente lontana si trova lo spunto per studiare l’uomo e la sua natura. Nel caso di “The road” si passa al giusnaturalismo, per citare Hobbes o Locke.

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Per comprendere meglio la condizione con cui si confrontano i protagonisti, ricordiamo un gesto cruciale e drammatico ripetuto in diversi momenti del film: il padre (Mortensen) fa vedere al figlio come spararsi in bocca qualora non dovesse essere più in condizione di proteggerlo.

Un padre che con il figlio provano a scappare dalla morte ma con cui allo stesso tempo devono fare i conti. Un padre con non insegna la vita, ma la sopravvivenza. Il tutto amplificato dai flashback che ricordano il mondo prima, quando la madre (Charlize Theron) non aveva scelto il suicidio.

Questo è il regime crudele in cui si dispiega il film. È una pellicola che sicuramente angoscia ma che allo stesso tempo pone una luce, seppur lieve. Dipende dai punti di vista.

La storia e l’atmosfera caricano ogni istante di tensione. Nel film non sembra esserci speranza, ma solo grigio e devastazione. Eppure nei due protagonisti si coglie uno slancio vitale che sembra non avere senso. Ecco perché girando la medaglia, la forza del film risiede proprio nel coraggio e nella perseveranza di un padre e di un figlio che nonostante tutto, giorno dopo giorno trovano un motivo per stare al mondo.

A cura di Stefano Guastella

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