Ferrari: quando la gogna mediatica impone di trovare un colpevole

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Nel 1957 il corso degli eventi rischiò di compromettere il futuro di una delle icone più famose al mondo. Ecco la vera storia di Enzo Ferrari

L’equilibrio sul quale cammina il destino è molto sottile: lo sbilanciamento da una parte o dall’altra determina ciò che separa il fallimento dal successo. Questo il tema centrale del biopic Ferrari di Michael Mann, che si era accostato alla casa del cavallino rampante già nel 2008, dirigendo il video promozionale per il modello Ferrari California.

Il destino di Enzo Ferrari (Adam Driver) è oscillato dal lato giusto del destino, portandolo alla gloria che solo i folli, o gli audaci, possono dire di aver raggiunto. Lo spartiacque a cui ci riferiamo è la tragedia di Guidizzolo, comune di qualche migliaio di abitanti nel mantovano, dove il 12 Maggio del 1957, poco dopo il rintocco delle ore 16:00, la Ferrari guidata dal pilota spagnolo Alfonso de Portago e dal copilota Edmund Gurner Nelson travolge e uccide nove spettatori, di cui cinque bambini, a seguito dello scoppio di uno degli pneumatici.

Facciamo un passo indietro di un paio di anni: ancora un incidente, datato 1955, questa volta avvenuto durante la 24ore di Le Mans. Detiene ancora il triste record di peggior incidente nella storia dell’automobilismo, con 84 vittime. In seguito a questo tragico evento vennero abolite le corse automobilistiche in tutto il mondo.

Questo per rispetto dei defunti e perché, obiettivamente, pericolose per piloti e spettatori, in quanto gli standard di sicurezza dell’epoca erano ben lontani da quelli a cui siamo abituati oggi. L’unica cosa che contava era una sola: la velocità. In Italia questo divieto non pervenne, in quanto la corsa Mille Miglia godeva di prestigio internazionale e, così,  si continuò a correre.

Enzo Ferrari nel 1957 si stava giocando tutto il suo successo nella fatidica corsa, finché l’incidente non compromise tutto il suo futuro avvenire. Le polemiche erano già montate quando si diffuse la notizia che in Italia si sarebbero corse, ancora, gare automobilistiche. Una volta avvenuta la tragedia che vi abbiamo raccontato, tra il cordoglio e lo sdegno, l’opinione pubblica pretese di trovare e condannare un colpevole, il famoso capro espiatorio.

È risaputo come i media (all’epoca maggiormente i giornali) siano influenzati dall’opinione del pubblico, ed è risaputo come, nel caso di tragici eventi, i primi a emettere sentenze non siano i giudici o i tribunali, ma il popolo. Nessuno ebbe il coraggio di attribuire le colpe ai due defunti piloti, o con chi, in passato, aveva permesso il prosieguo di queste corse. L’unico che rimaneva da poter incolpare era il capo dell’azienda: Ferrari.

L’accusa è di negligenza: la macchina non era sicura, gli pneumatici non adatti a reggere le sollecitazioni delle velocità elevatissime (picchi di 250 km/h). L’agnello sacrificale era stato offerto in pasto alla folla, che ora aveva il suo colpevole da demonizzare. Solo l’intervento dell’avvocato di Ferrari restituì l’imparziale verità: la macchina e le gomme non c’entravano nulla, il problema era l’asfalto stradale, terribilmente compromesso. Enzo fu sollevato dalle accuse, e poté compiere il suo destino.

A cura di Andrea Angelozzi

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