Spandau Ballet – True | RECENSIONE

Spandau
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Il manifesto del New Romantic, nonché uno dei migliori album pop degli anni ’80: True rimane il vero capolavoro degli Spandau Ballet

Ancora oggi, a distanza di quattro decadi, basta dare uno sguardo alla copertina di True degli Spandau Ballet per avere subito in mente quello stile musicale preciso, loro caratteristico, classico dell’epoca e insuperabile. Quel misto di new wave e funk pop poi definito New Romantic, figlio estranianto del punk e ispiratore del nuovo mainstream anni ’80.

True rimane come manifesto, forse involontario, e punto centrale di quella tendenza, un incontro di coincidenze e aspirazioni più che un capolavoro progettato a tavolino. Pochi altri album di quell’era, come Rio dei Duran Duran e The Lexicon of Love degli ABC lasciano il segno tanto quanto questo terzo lavoro del quintetto di Londra.

La forza della formazione è a questo punto della loro carriera innegabile: abbandonati i lidi del post-punk e accarezzando la new wave a distanza di sicurezza, il gruppo si fa trascinare dal songwriting competente e adulto del genio (e chitarrista) Gary Kemp, che ascolta Marvin Gaye e Al Green e intuisce per tempo che la sua band può spingersi più in là del previsto.

Il cantato infallibile di Tony Hadley, vocalist per eccellenza del panorama inglese new wave, si adagia sulla perfezione di uno stile compositivo che fa capo ai Roxy Music (che vengono in mente ad ogni nota); e le canzoni sono impreziosite da piccoli ma furbi tocchi di tastiere e synth, atmosfere velatamente dance e il sassofono di Steve Norman, che più eighties non si può.

Il risultato: una tracklist leggendaria di otto canzoni che funzionano tutte alla perfezione, dalla prima all’ultima. Code of Love, Heaven is a Secret e la celeberrima title track sono i brani più delicati, come fiori, attentamente costruiti con una finezza d’arrangiamento esemplare; e potrebbero tutti trovare, lo ribadiamo, posto in Avalon dei Roxy Music.

Ma il meglio sono le tracce restanti: due perfetti esempi di pop / new wave come Pleasure e Communication; la coinvolgente Lifeline, e poi Gold, una delle canzoni più sinceramente incoraggianti della decade. E infine Foundation, vero gioiello sottovalutato del disco. Al di là di immagine e promozione, si sente che c’è qui una band che suona e che sa scrivere canzoni, qualunque sia il genere proposto.

E, detto ciò, non va però appunto sottovalutato l’aspetto visivo: siamo negli anni di MTV e gli Spandau sono molto adatti ad apparire su video. Per ogni singolo estratto viene girata una clip e si coltiva molto l’immagine “fashion” del quintetto, per la gioia di un pubblico molto attento alla moda.

Ed è questo, purtroppo, l’aspetto che ancora oggi si tende a ricordare di più della formazione: un’impostazione lontana da quella del rock and roll “virile”, nonché colpevolmente commerciale e disinvoltamente rivolta alle classifiche. Ma il discorso rimane un po’ sempre quello: sarà anche pop, ma provateci voi a scrivere un album così.

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