Alice in Borderland 2, recensione della seconda stagione
In seguito al finale cliffhanger con cui si è conclusa la prima stagione, Alice in Borderland torna su Netflix e risponde alle domande lasciate in sospeso.
Rilasciata ben prima che Squid Game divenisse un fenomeno di portata mondiale, Alice in Borderland simboleggia la prima serie di successo nel panorama contemporaneo, relativamente a quel filone narrativo che ci parla di darwinismo tramite sadici giochi di sopravvivenza. In seguito ad un esordio sorprendente, Netflix ha rilasciato il 22 dicembre la seconda (e forse ultima) stagione che ha risposto agli interrogativi lasciati in sospeso in maniera convincente e allo stesso tempo sorprendente.
Alice in Borderland 2, la trama
Chishiya osserva i partecipanti del game della prigione
Dopo essere riusciti a vincere i giochi necessari a raccogliere tutte le carte dal numero 1 al numero 10 di ogni seme, Arisu e i compagni sopravvissuti sono determinati a vincere i game delle figure per tentare di comprendere il sistema che li spinge a dover lottare brutalmente per la vita e ritornare così nel mondo reale.
Alice in Borderland 2, la recensione (spoiler)
Un mondo che si espande
La folta vegetazione che irrompe in questa seconda stagione
La prima stagione di Alice in Borderland si era presentata agli spettatori come un prodotto a metà fra il dramma fantascientifico e l’horror distopico, portando sui nostri schermi una pregevole estetica da live action. A far da sfondo ai brutali giochi di sopravvivenza a cui i protagonisti venivano via via sottoposti era una Shibuya completamente deserta, contraddistinta dall’assenza di qualsiasi forma di vita, improvvisamente scomparsa dalle strade di Tokyo, eccezion fatta per i giocatori prescelti.
La seconda stagione della serie tratta dall’omonimo manga di scritto e disegnato da Haro Aso, invece, espande fin da subito i propri confini e conduce lo spettatore in un mondo che si dilata sempre di più. In una realtà in cui le vecchie regole sono poco più che un generico punto di riferimento, l’universo di Alice in Borderland cresce progressivamente sotto più punti di vista che si armonizzano inevitabilmente fra di loro.
Se la desolazione era la cifra alla base del primo ciclo di episodi, il mondo fisico della seconda stagione ci mette pian piano a contatto con una natura selvaggia, un open world che sovrasta l’uomo e ogni forma di vita che ne popola gli spazi, generando un senso di spaesamento ancora maggiore. All’artificiosa bolla di sapone rappresentata dalla Spiaggia, Alice in Borderland2 contrappone una varietà di spazi fisici come foreste, laghi, fiumi e montagne che contribuiscono a dare maggior vivacità alle sequenze action e rendono la natura un vero e proprio attore principale.
Il paesaggio che ci viene mostrato è contraddistinto da una natura debordante, tanto incolta quanto affascinante, che riesce a sorprenderci con dei prodigi impensabili nel mondo reale, in grado di regalare un immaginario poetico nel bel mezzo di efferate lotte fra esseri umani. Per quanto possa essere paradossale, un mondo così crudele si dimostra foriero di momenti di bellezza, scorci surreali di vita perfettamente riassunti nella scena di due elefanti che fanno il bagno, immersi in un cumulo di macerie in mezzo a cui si apre una piccola pozza d’acqua.
La forza rivelatrice delle sfide
Kyuma ed Arisu a confronto durante il primo game
Per quanto concerne i presupposti della sceneggiatura, anche sotto questo punto di vista assistiamo ad un allargamento degli orizzonti precedentemente sperimentati. Essendo ogni game valido per la conquista di una figura, il livello di difficoltà si alza sensibilmente e con esso la durata di ogni gioco, arrivando a coprire persino più di un intero episodio. Tale presupposto consente agli autori di esplorare con più libertà e con accresciuta profondità il vissuto e lo spessore emotivo e psicologico dei personaggi al centro delle vicende, fra cui si instaura una dialettica che pian piano carica di senso l’aspetto crudele e ludico delle sfide.
La competizione assume nettamente i connotati di un vero e proprio studio psicologico, durante il quale l’osservazione assurge a requisito cardine per la sopravvivenza. Le dinamiche che si instaurano fra le parti in causa rivelano di volta in volta uno spiccato senso per la leadership o una naturale inclinazione all’obbedienza e alla sudditanza nei riguardi del più forte. La credibilità e il fascino narrativo di ogni sfida stanno proprio nella messa in discussione di tali componenti, processo che induce lo spettatore a dubitare continuamente di chiunque, in un’estenuante ed intrigante avvicendarsi di vere e proprie ipotesi investigative.
Come Kyuma dice ad Arisu, i game diventano conversazioni con anime nude e crude, fanno emergere il reale carattere dei giocatori, fino a diventare una cartina al tornasole circa la vera natura di chiunque sia coinvolto. Ogni sfida rappresenta in tal senso un turning point nella vita dei protagonisti e simboleggia spesso un concetto astratto, che si traduce in una virtù o in un insegnamento che gli ideatori dei game tentano di impartire in maniera sadica e da cui a loro volta finiscono inaspettatamente per imparare una lezione.
Tra la vita e la morte
Mira, ideatrice del game finale
La seconda stagione di Alice in Borderland presenta una variegata galleria di tipi umani che col passare del tempo vengono posti dinnanzi ad interrogativi esistenziali sul senso della vita e di conseguenza sulle motivazioni alla base del desiderio di far ritorno alla realtà di tutti i giorni. Il mondo che i protagonisti hanno visto scomparire improvvisamente sotto i propri occhi viene più volte ritratto con cinico disincanto, ne vengono evidenziate l’insensatezza e la crudeltà, a dispetto di un universo disciplinato da regole ferree e mortifere, ma in cui poter scegliere di vivere con cognizione di causa.
I personaggi che popolano questa atroce realtà si chiedono spesso se ci sia un reale motivo per fare ritorno ad un’esistenza tangibile. Le risposte che di volta in volta vengono fornite dividono i giocatori in chi crede fermamente che tornare indietro costituirebbe una chiara regressione e chi, invece, pensa che la vita reale valga la pena di essere vissuta a pieno, nonostante le innumerevoli contraddizioni ed ingiustizie che ne permeano l’essenza.
Questa ripartizione rappresenta un elemento sostanziale e da in tal modo forma a due fazioni. La prima ingloba tutti coloro che perpetuano tangibilmente la morte tramite un operato contraddistinto dall’assenza di speranza e da conseguenti forme di dilagante egoismo; d’altro canto la seconda raduna al suo interno tutti gli esseri umani che decidono di unirsi in una forma di titanismo universale per sottrarsi ad un’ossessione irreale imperniata sul concetto mors tua, vita mea.
Il fulcro tematico di Alice in Borderland2 risiede proprio nella pervadente metafora che contrappone l’abbraccio della dimensione mortuaria al tentativo di resistere e lottare per la vita. In un sistema così crudele da inghiottire chiunque ne scorga l’abisso, gli unici in grado di sopravvivere appaiono fortemente motivati dal desiderio di riscattare quanto fatto e perso in vita e al tempo stesso di rendere onore e dare significato alla scomparsa di chi ha consentito loro di poter arrivare in fondo al tunnel di questo gioco fra luce e oscurità.
La fine è l’inizio
Arisu e Usagi nel finale di stagione
Per quanto possa sembrare bizzarro in rapporto ad una serie dal coefficiente drammatico non indifferente, il leitmotiv che avvolge un finale a dir poco sconvolgente è rappresentato dall’ironia, un sarcasmo nero che permea l’atto finale di questa seconda stagione. Le false spiegazioni sulla natura di questo mondo surreale che Mira fornisce sadicamente ad Arisu e Usagi ricalcano parodisticamente le aspettative che giocatori e spettatori potrebbero aver maturato nel corso del tempo, in virtù di un mindset legato al filone distopico e fantascientifico.
Così come il game master, il finale di Alice in Borderland2 fa leva sulle nostre aspettative e giocando con queste disvela soltanto agli sgoccioli della storia il sostrato onirico e metaforico alla base degli eventi. A dispetto di ipotesi su avidi e perversi ricchi manipolatori o su società tecnologicamente avanzate a tal punto da ricercare piacere in sanguinolente simulazioni virtuali, il plot twist finale ci fa capire di aver vissuto inconsapevolmente un’esperienza ai confini della vita, tramite una distorsione totale della linea temporale.
La netta divisione in buoni e cattivi messa in discussione game dopo game si disgrega totalmente e valorizza il registro simbolico-allegorico sotteso fin dall’inizio alla sceneggiatura della serie e alla base della disturbante sequenza finale, che ci regala un finale aperto e intelligente. Il sorriso del joker ci ricorda che il game più difficile è quella della vita. O forse no?
Alice in Borderland 2, il cast
Kento Yamazaki: Ryōhei Arisu
Tao Tsuchiya: Yuzuha Usagi
Yūki Morinaga: Chōta Segawa
Keita Machida: Daikichi Karube
Nijirō Murakami: Shuntarō Chishiya
Yutaro Watanabe: Kōdai Tatta
Sho Aoyagi: Morizono Aguni
Ayaka Miyoshi: Rizuna Ann
Dori Sakurada: Suguru Niragi
Aya Asahina: Hikari Kuina
Tsuyoshi Abe: Kuzuryū
Nobuaki Kaneko: Takeru Danma
Riisa Naka: Kano Mira
Yuri Tsunemtasu: Akane Heiya
Alice in Borderland 2, trailer ufficiale
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