The Witcher: Blood Origin, la Recensione della serie prequel su Netflix

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The Witcher: Blood Origin è ambientata centinaia di anni prima di Geralt di Rivia ed espande la lore della serie originale

The Witcher: Blood Origin è la serie prequel dell’omonima saga con Geralt di Rivia come protagonista, tratta dai famosi romanzi di Andrej Sapkowski e dai videogiochi CD Projekt Red. L’idea è qui quella di uno spin-off che funga anche da anticipazione e spiegazione di vari aspetti nell’universo della saga.

La trama: più di un millennio prima della guerra con Nilfgaard che coinvolge Geralt, Ciri, Yen e Yaskier, assistiamo agli eventi che portano alla nascita del primo strigo e alla congiunzione delle sfere, che conduce mostri e altre entità nel mondo “normale” rendendolo improvvisamente più pericoloso e letale.

Vari guerrieri appartenenti a diversi clan uniscono le forze con un patto di sangue per combattere contro un altro, temibile impero che nasce con un tradimento e ingloba con la violenza alcuni regni in lotta tra loro. La “resistenza” si compone di un insieme multietnico e non si parla solo di sesso e colore della pelle ma anche di “razze”, elfi e nani compresi.

Pur gettando una luce potenzialmente interessante sulla lore dell’universo di The Witcher e su ciò che vi si pone all’origine, Blood Origin non riesce ad evitare di scivolare in una serie di cliché che partono dai personaggi, stereotipati e anonimi, e arrivano alle vicende fantasy piuttosto banali e ritrite. Questo per non parlare di un’insopportabile retorica che fa alzare gli occhi al cielo in ogni singola sequenza significativa.

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Mettiamola così: se non avete mai visto nulla de Il Signore degli Anelli o Lo Hobbit o Rings of Power, di Game of Thrones e House of the Dragon, dello stesso The Witcher e di mille altri film e serie fantasy, allora FORSE Blood Origin potrebbe avere per voi qualcosa di vagamente interessante o coinvolgente. Forse.

Nemmeno la presenza di Michelle Yeoh, la superstar di Everything Everywhere All at Once, riesce a mettere una pezza su un prodotto che fin dai primi minuti si rivela prevedibile, per non dire legnoso nonché cattedratico. E non aiuta, uno dei peggiori errori che ancora si compiono in film e serie, che il finale ci venga svelato fin dall’inizio.

Sappiamo già infatti che questi sette guerrieri alla fine collaboreranno, come ci viene detto nella sequenza iniziale (paradossalmente forse la migliore della serie) con Jaskier. E viene quindi a mancare tutto l’interesse per l’arco narrativo e per i conflitti tra gli eroi, che del resto da subito sembrano per via di una riprovevole bidimensionalità anticipare le loro stesse azioni e battute.

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Non è che la serie sia necessariamente scritta male: più che altro quattro episodi sono troppo pochi per approfondire così tanti personaggi, e purtroppo specie nei prodotti Netflix si seguita a non capire che la chiave vera di un prodotto di successo è questa. Ossia: personaggi dai caratteri forti, complessi, intriganti e profondi. Proprio come il Geralt di Henry Cavill, al quale dovremo presto dire addio.

Prendiamo House of the Dragon, altra serie del 2022: funziona benissimo proprio perché evita facile spettacolarità e si concentra tantissimo sui caratteri dei protagonisti, evitando lezioncine e moralismi e lavorando sull’imprevedibilità. Se non si ha questo, inutile abbondare in CGI e spettacolarità: tutte cose già viste, così come le infinite e stancanti scene d’azione o i mostri assolutamente poco credibili.

Blood Origin purtroppo fa il contrario, regalando al pubblico uno spettacolo di facile fruizione dimenticando anche di trattare più complesse tematiche e di inserire qualche personaggio enigmatico o anche soltanto, sia pure, una spalla comica come lo stesso Jaskier. Risultato: quattro episodi in gran parte noiosi, per nulla avvincenti e per certi versi persino esasperanti.

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