Moonage Daydream | Recensione del film su David Bowie

Moonage Daydream
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Moonage Daydream è un docufilm su David Bowie. Presentato in anteprima mondiale in concorso all’ultimo Festival di Cannes, è stato distribuito come proiezione-evento il 26, 27 e 28 settembre 2022. Il regista è Brett Morgen, già autore di Kurt Cobain: Montage of Heck.

Moonage Daydream: il trailer

Moonage Daydream: la recensione

Ci sono uomini che diventano storie. Ci sono storie che diventano miti, e ci sono miti che trasfigurano nei significati più reconditi della natura umana. Ed è questo il vettore che direziona la grande narrazione che l’umanità ha costruito di se stessa. Un costante senso di ascesi che la elevi su piani di significato sempre più alti. La nascita dell’intelletto, la civiltà che sorge e risorge, l’universo imperscrutabile intorno a noi. Qualche abile aedo ha forgiato le saghe, terrene e cosmiche, dell’uomo. E a loro volta hanno alimentato i sogni ad occhi aperti di esseri che sembrano precipitati sulla Terra dopo un lunghissimo volo alieno.

David Bowie è stato a tutti gli effetti il profeta di una nuova era, o di nuove e molteplici ere. E come tutti i grandi uomini che diventano storie, e come tutte le storie che diventano miti, vivono al di là delle classiche definizioni di spazio e tempo. E quindi si impone la più grande delle sfide: come è possibile raccontare un racconto che è in eterno divenire?

La risposta la cercano, spesso in maniera fallimentare, i numerosi biopic, musicali e non, che negli ultimi anni nutrono di particolare fortuna presso il grande pubblico. Brett Morgen ha compreso però quanto sia minato il terreno di confine tra ritratto e memoriale, e Moonage Daydream postula un’inequivocabile verità: è probabilmente il solo film che poteva assurgere ad un compito tanto arduo.

Moonage Daydream, il primo film con l’approvazione degli eredi di Bowie

Pochi anni fa Gabriel Range tentò, con Stardust, di dipingere quella delicatissima transizione che portò alla nascita di Ziggy Stardust, affidando le vesti del duca bianco a Johnny Flinn. Duncan Jones pose il proprio veto, così il progetto uscì mutilo delle musiche di Bowie. Moonage Daydream ha ricevuto invece il benestare del regista di Moon; evidentemente Morgen ha trovato la regola aurea per un’opera così complessa.

Sottolineare il passo da fiction biografica a documentario non è ovviamente una mera questione formale. Anzitutto perché compie il passaggio fondamentale, riportando il racconto, questa parola chiave, al centro, attraverso la voce di Bowie in persona. Ma il registro di Moonage Daydream non cede mai il passo all’incedere del cinema verità. Piuttosto, attraverso i toni surreali di una vera e propria space opera, Morgen firma un personalissimo livre d’image.

Il mezzo attraverso il quale avviene la magia è ovviamente il montaggio. In un fraseggio assolutamente libero si alternano interviste e scene di vissuto, happening e performance, live e studio. Moonage Daydream però realizza realmente qui il miracolo, non fermandosi al racconto, ma diventando racconto dei racconti. Da Metropolis a 2001: Odissea nello spazio, da Nosferatu a Blade Runner, frammenti di storie trasmigrano in frammenti di vissuto e ci svelano il mondo interiore di Bowie in un vortice audiovisivo che non conosce alcun confine.

In questo senso l’opening è una vera e propria ouverture. Le immagini diventano visioni, le parole suggestioni, e intanto sotto traccia una parafrasi dei temi più famosi della produzione di Bowie ci lascia intendere che più che ad una rapsodia, stiamo assistendo ad un’opera d’arte totale. E come in una sinfonia wagneriana i motivi si faranno ricorrenti, e verranno richiamati e sviluppati secondo una precisa articolazione della forma.

“Time…one of the most complex expression”

Per quanto libero fluisca il ritmo, infatti, Moonage Daydream ruota intorno al live del 1973 all’Hammersmith Odeon. Mentre si prepara l’era della luna nuova, imperversano i ragni da marte. E così non è ancora il tempo di una pallida luce riverberata, ma sono lisergiche dominanti rosse a connotare la fotografia. Con questa trovata la struttura di Moonage Daydream si impone cristallina, senza però incasellare in alcun modo il poetico fraseggio del montaggio.

Così si realizza il senso del tempo, questa espressione misteriosa. Ancora invertendo la tendenza dei biopic, che per forza di cose cercano la metonimia in spaccati che devono assumere il senso di una vita intera, Moonage Daydream, come il suo protagonista, vive al di là del tempo. Si perdono i riferimenti, in un continuo divenire che non mira a ritrarre il tutto, ma riesce a suggerirlo proiettandolo lungo tutte le coordinate.

Perché ben oltre la semplice biografia, c’è la fenomenologia. Così Moonage Daydream non è semplicemente il racconto di un’icona che ha valicato i confini dell’umana essenza. Forse il film è il mistero stesso dell’esistenza.

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