Red Dead Redemption 2 Recensione: la narrativa al suo stato dell’arte

Una recensione spoilerosa di Red Dead Redemption 2 sul perché è la perfetta unione tra videogioco e serie tv.

Red Dead Redemption 2 recensione
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Raccontare nero su bianco per farne una recensione di ciò che è stato, è e sarà Red Dead Redemption 2 per il mondo videoludico, va forse aldilà delle possibilità di chi scrive. Un’opera miliare che può essere analizzata da diversi punti di vista che convoglierebbero però tutti verso un’unica grande definizione: capolavoro generazionale ed esempio lampante di come la narrazione possa diventare elemento cardine e distintivo di un videogioco.

Red Dead Redemption 2 è a tutti gli effetti un esperimento di Rockstar Games, ambizioso e rischioso, che si concentra prevalentemente sul realismo del mondo di gioco – la routine giornaliera degli abitanti delle diverse città in cui metteremo piede è unica e cambia in base al nostro atteggiamento nei loro confronti – e su una narrativa così curata che finisce per mettere in secondo piano il gameplay. L’esatto contrario, e vi spiegheremo poi perché, di ciò che fa The Last of Us 2 (qui la nostra recensione). Sì, senza fare troppi giri di parole, RDR 2 è un western dal ritmo infinitamente lento, che si prende tutto il tempo necessario per delineare un racconto che farebbe invidia ai grandi sceneggiatori di Hollywood. Afferra la mano del giocatore per condurlo, con tutta calma, nella discesa all’inferno del suo protagonista.

L’ultimo colpo della gang di Dutch Van Der Linde

In tantissimi hanno paragonato Red Dead Redemption 2 a un grande film ambientato nel Selvaggio West: regia, cutscene, musiche e paesaggi, possono far pensare, e a ragion veduta, ad una grande produzione cinematografica interattiva. Oggi però vogliamo spingerci oltre e fornirvi ulteriori spunti per il titolo uscito nel 2018. Più che ad un lungometraggio, infatti, abbiamo visto Red Dead Redemption 2 molto vicino ad una grande Serie Tv giocabile.

Ci spieghiamo meglio. Red Dead Redemption 2 è strutturato nel seguente modo: troviamo la prima stagione, che funge da introduzione o grande prologo, in cui si prende familiarità con i personaggi della gang di fuorilegge guidata da Dutch Van Der Linde – una vecchia conoscenza del primo capitolo- e dal suo braccio destro, nonché protagonista, Arthur Morgan. Abbiamo dunque la stagione iniziale e, a mano a mano che passano le “stagioni” – sei in tutto – la storia alza sempre più l’asticella per regalare ai giocatori alcune missioni/episodi straordinari, che svettano rispetto agli altri.

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L’assalto alla Braithwaite Manor, tra le missioni più belle di Red Dead Redemption 2

L’arco narrativo è dunque un crescendo continuo: la progressione è tangibile ma spesso sembrerà nascosta da incarichi insiti in ciascun capitolo di gioco, a prima vista inutili e privi di significato, che potrebbero quasi far pensare ai classici episodi riempitivi delle serie tv. Tuttavia, essi si riveleranno fondamentali per delineare la personalità, il passato e il carattere di ciascun bandito. Una lunga serie di avventure preparatorie per arrivare all’implosione finale di tutto il “cast”. Un climax che ha pochi eguali nel nostro medium preferito e non solo, in cui bisognerà fare i conti con tutte quelle volte che Dutch ha rassicurato i suoi compagni dicendo “vi prometto che questo sarà il nostro ultimo colpo prima di ritirarci“.

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Tutti i personaggi sono scritti in maniera impeccabile, da Arthur a Sadie Adler, passando per Micah Bell, e su ciascuno di essi è stato fatto un lavoro quasi comparabile a quello di David Chase con I Soprano. Se sostituissimo il digitale con la realtà e mettessimo veri attori a girare ogni cutscene di Red Dead Redemption 2, avremmo un capolavoro di Serie Tv, con 20 Emmy a seguito. Invece, l’aspetto più affascinante di questo viaggio è che il protagonista siamo noi e noi soltanto. Le nostre scelte ci condurranno infatti a quattro diversi e indimenticabili finali.

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Il gameplay al servizio della narrazione

Per far sì che tutto ciò di cui abbiamo scritto fino a questo momento funzionasse alla perfezione, è stata fatta una scelta molto chiara: privilegiare la parabola discendente di Arthur Morgan alle parti giocate. L’evoluzione dei personaggi, così come la storia di Red Dead Redemption 2 nella sua totalità, ha richiesto una complessa sceneggiatura che impiega tantissimo per mostrarsi ai giocatori in tutte le sue molteplici sfumature. Proprio per questo, lato gameplay non viene mai messo il piede sull’acceleratore e le sparatorie frenetiche e adrenaliniche sono dosate con il contagocce.

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Ogni evento non è in alcun modo forzato ma voluto, in una continua ricerca del realismo più disperato. Un puzzle composto da infiniti dialoghi e lunghe cavalcate, che richiede dalle cinquanta alle ottanta ore per essere portato a compimento. Quest’ultimo aspetto, è anche croce e delizia del capolavoro Rockstar. Chi infatti non ha apprezzato RDR 2, porta spesso come argomentazione principale il ritmo di questa esperienza, sempre tarato verso il basso e che di ludico ha ben poco. Vi ricordate di Deadwood, la serie tv HBO? Bene, anche lì si chiacchierava tanto e si sparava poco.

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L’esatto opposto di ciò che avviene – e questa non vuole essere una critica badate bene – in The Last Of Us 2. Se ci focalizziamo sulle sue dinamiche narrative che scatenano poi i momenti di pura azione, è possibile riscontrare i tipici casi di deus ex machina. Eventi specifici leggermente forzati ma necessari per risolvere una situazione spinosa da cui è praticamente impossibile uscirne e ripristinare così il naturale scorrere degli eventi. Pensiamo ad esempio a tutto il tempo che hanno avuto i WLF per uccidere Ellie, quando finalmente riescono a catturarla. Un attimo che diventa eternità e che permette poi a Dina di intervenire e salvare l’amore della sua vita. In questo caso, dunque, è lampante il peso del gameplay, che viene spremuto fino al midollo per regalare agli utenti nuove situazioni al cardiopalma, rispetto a quello, comunque notevole, del racconto.  

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The many miles we walk…the many things we learn”. Red Dead Redemption 2 OST

L’epilogo – prima del vero epilogo – della grande opera di Rockstar è uno schiaffo in faccia, potente e commovente. La lunga cavalcata di Arthur Morgan è una sequenza di cinque minuti da lacrime in viso e fazzoletto in mano, in cui ammiriamo il fuorilegge galoppare pieno di pensieri, rimpianti e speranze ormai svanite, verso il suo destino per affrontare tutte le malefatte e le scelte sbagliate compiute nel suo passato. È un percorso di redenzione del protagonista ora disposto a tutto pur di evitare che le persone a lui care commettano i suoi stessi errori.

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Un’altra scena dalla potenza emotiva molto simile, è ravvisabile nel finale della serie tv di Kurt Sutter, Sons Of Anarchy (cliccate qui se volete saperne di più). Non continuate oltre se volete evitare SPOILER.

L’ultima corsa o altrimenti detta, Last Ride. Jackson “Jax” Teller che in sella alla sua moto percorre diverse miglia inseguito dalla polizia, che funge più da corteo funebre che da autorità vera e propria, pronto ad accogliere la morte a braccia aperte. In entrambi i casi poi, oltre alla regia, è la musica di sottofondo a creare ancora più immersione e coinvolgimento negli utenti. Se in Red Dead Redemption 2 ascoltiamo That’s The Way It Is, brano di Geek, in Sons of Anarchy le casse risuonano Come Join The Murder dei The White Buffalo, due canzoni scritte appositamente dai rispettivi autori per enfatizzare ancora di più le scene in questione.

Rockstar Games ci ha consegnato un protagonista che rimarrà per tutta la vita nei nostri cuori, che ci ha fatto piangere ed emozionare. Arthur Morgan è l’antieroe perfetto di un capolavoro e pietra miliare nella storia del videogioco.

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Red Dead Redemption 2 | Testato su Xbox Series X

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