Processo all’Arte: uno sguardo al caso Alessandro Gori

Ivano Bisi, aka Il Cinemaniaco, ci aiuta a comprendere il caso Alessandro Gori e ci pone una domanda cruciale: può essere un tribunale a tracciare i confini delll'arte?

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Partiamo dai fatti: il processo per diffamazione che riguarda Alessandro Gori riguarda vicende di sette anni fa. Gori, infatti, per pubblicizzare il suo spettacolo al circolo Aurora di Arezzo pubblicò sulla sua pagina facebook la seguente scaletta nonsense: Mercoledì 30 luglio 2014 alle ore 22:00 sulla terrazza del circolo Aurora di Arezzo, per Orgiasticaurora, Lo Sgargabonzi (summer) live.

Di Alessandro Gori

Accompagnamento musicale di Marco Luchi

Curiosità pruriginose su Denise Pipitone con diapositive e Simmenthal

10 modi per raccontare male una barzelletta però brutta

Giovanni Falcone: il Renato Rascel dell’antimafia?

Poesie con dentro le parole consapevolezza, ambra e glicine

Unplugged delle canzoni dell’immenso De André ma anche di suo padre Fabrizio

Le imitazioni dei presentatori difficili tra cui Carlo Massarini e Massimo De Luca

Classico numero di Burlesque con la flanella e le feci

Seduta spiritica con scherzo a Gesù e poi riattacchiamo

Provocazioni antipatiche nei confronti della gente ai tavoli (fare molta attenzione)

Numero di telefono di Mariella Nava in regalo per tutti

Momento introspettivo perché noi comici sotto sotto ridi pagliaccio eccetera

Marco Luchi al piano suona le migliori canzoni del miglior Mozart

Roulette russa con quelli del pubblico senza baffi finti (biondi)

Interverrà Arnaldo Forlani

Porto anche un dolce all’ananas che mi ha fatto mia mamma

Malore dal vivo non simulato

E molto altro…

Non annoierò chi legge con considerazioni personali sul come la scaletta rientri nel solco della tradizione dissacrante di un certo tipo di bombardamento comunicativo e mediatico che Gori da sempre utilizza, è stato già detto tutto, così come non mi soffermerò sul fatto che la signora Piera Maggio e il suo avvocato non sono tenuti a conoscere la chiave di lettura umoristica per decifrare tali parole. Torniamo ai fatti, nudi e crudi.

Serata annullata dopo la diffida ai gestori dal mandare lo spettacolo in scena.

Venuto a conoscenza di ciò, Alessandro Gori provvide subito a cancellare il post incriminato sia su facebook che sul blog (e vi assicuro che per un comico dover spiegare cosa fa è come per un mago spiegare i suoi trucchi) e tentò di fornire spiegazioni sul suo registro stilistico, le caratteristiche di autore e performer scusandosi preventivamente con le persone che avrebbero potuto sentirsi offese, ma difendendo alcuni principi basilari tra cui la libertà di espressione e di immaginazione che costituiscono le fondamenta di un qualsiasi lavoro artistico.

Anno 2015: arriva la querela a quasi un anno dai fatti. L’avvocato chiede e ottiene di procedere penalmente per diffamazione, la cui pena, è doveroso ricordare, è la reclusione dai sei mesi ai tre anni o una sostanziosa multa. La querela contesta quella frase su Denise Pipitone inserita nella scaletta di cui sopra, ma anche status comparsi mesi o addirittura anni prima nella pagina de Lo Sgargabonzi.

Nel Novembre 2018 Alessandro Gori ottiene la possibilità di farsi interrogare dal PM per spiegare le proprie ragioni, il proprio stile comunicativo e i propri intenti; a seguito dell’interrogatorio il PM comprende e archivia il caso, fatto che gli organi di stampa, di comunicazione, i media in generale si sono guardati bene dallo scrivere. Ripeto, il caso in prima battuta è stato archiviato e le accuse rigettate.

L’avvocato decide tuttavia di impugnare l’archiviazione e il GIP circa un anno fa riapre il caso ed eccoci, quindi, arrivati al momento attuale, ossia al processo.

Non sono un giurista, quindi saranno gli organi competenti a stabilire se ci sia stata o meno diffamazione. Da profano non credo si possano considerare diffamazione ( intesa come condotta mirata ad offendere e o screditare la reputazione di una persona) alcune frasi estrapolate da una scaletta comica nonsense che mescola appositamente come in una lavatrice nomi di personaggi entrati nell’immaginario collettivo e li inserisce in situazioni totalmente surreali.

Le frasi riportate nella querela paiono esser state ricucite e decontestualizzate. Per fare un esempio: sarebbe come se qualcuno, zoomando su un dettaglio di un quadro astratto di Pollock, ritagliasse un segno che incidentalmente ricorda la forma di un fallo e denunciasse il pittore per oscenità.

Ma citiamone alcune. Nella querela viene riportata la frase:

“Non mi pento di quello che ho fatto e rifarei tutto, errori compresi, anzi soprattutto gli errori, specie da quando lavoro per la Mistake Replay e pagano da Dio”.

A parte il comprensibile gioco di parole che contiene, viene scritto che questa frase sarebbe stata postata in connessione con la vicenda di Denise Pipitone. Come affermato dallo stesso Gori, lo status era però totalmente estraneo alla vicenda, una battuta comica tra le migliaia postate sulla sua pagina Facebook e privo di qualsiasi riferimenti alla vicenda.

La frase sarebbe stata decontestualizzata da una produzione comica sterminata, facendo intuire che Gori a distanza di mesi dalla diffida continuasse a scherzare sulla vicenda.

Un’altra delle frasi incriminate che è stata riportata da tutti gli organi di stampa è la seguente:

“Stasera al supermercato ho visto la signora Piera Maggio, madre di Denise Pipitone, la bimba scomparsa qualche anno fa. Così sono andato a riempirmi il carrello con un sacco di roba e gliel’ho portato dicendole:…e non voglio più vedere quel faccino triste”.

Nella sua versione integrale questo post aveva un finale molto indicativo, che sui quotidiani è stato tagliato. La versione integrale:

“Stasera al supermercato ho visto la signora Piera Maggio, madre di Denise Pipitone, la bimba scomparsa qualche anno fa. Così sono andato a riempirmi il carrello con un sacco di roba (bibite, sottaceti, il carciofotto Ponti, pane integrale, fecola, affettati, noce moscata, una torta alla meringa eccetera) e gliel’ho portato dicendole:…e non voglio più vedere quel faccino triste. E poi me ne sono andato senza aspettarmi chissà quale roboante encomio, ma felice di aver fatto un piccolo gesto bello. E’ una goccia nel mare, certo…”.

Dettagli non irrilevante, dato finale identifica quello status come l’evidente parodia di un certo linguaggio emozionale televisivo, volto a fare il verso al “giornalismo del dolore” in cui si finge empatia verso la tragedia di turno, perpetuando invece lo scopo di fare bella figura e strappare qualche like. È l’io narrante in questo caso ad essere dissacrato, ad essere messo in ridicolo: Piera Maggio, va da sé, diventa solo un nome pretesto.

Altro punto significativo. Si accusa Gori di aver scritto:

“Curiosità pruriginose su Denise con diapositive e Simmenthal e Giovanni Falcone il Renato Rascel dell’Antimafia”.

Queste due frasi non erano però unite o accostate. E la citazione integrale della frase su Falcone era pure quella una parodia del linguaggio sensazionalista televisivo:

“Giovanni Falcone: il Renato Rascel dell’Antimafia?”.

La querela parla di “disegno criminoso”. Ora, chi conosce il lavoro del Gori, che lo ha seguito in tutti questi anni e ha visto i suoi spettacoli, letto i suoi libri, sa che nulla è più lontano dal vero.

Ribadisco ciò che ho scritto sopra, la signora Piera Maggio non era tenuta a conoscere il suo registro comico, tantomeno i giudici, ma il dubbio nasce spontaneo: che idea si può fare un pubblico, e soprattutto un magistrato, quando le accuse in un procedimento penale vengono presentate in maniera frammentaria?

E infine c’è un altro punto che val la pena di sottolineare di questa triste e dolorosa vicenda: se come detto sopra, gli accusatori, i giudici, l’opinione pubblica non sono tenuti a conoscere il registro umoristico di Gori, sono invece numerosissime le persone che lo conoscono e sono i suoi colleghi.

Artisti, comici, che in questi anni, oltre ad averne apprezzato le qualità, hanno scritto prefazioni ai suoi libri, sono intervenuti come ospiti ai suoi spettacoli live, l’hanno intervistato, ospitato a loro volta, e si sono fregiati della sua collaborazione a vario titolo.

È singolare che proprio dai colleghi che svolgono la sua stessa professione siano arrivate reazioni così tiepide a una vicenda che dovrebbe interessare loro in primis, al di là della loro amicizia o stima nei suoi confronti, indipendentemente che si possa apprezzare o meno la sua produzione artistica.

È grave che il mondo artistico e culturale non abbia preso posizione collettivamente in modo netto verso un pericolo enorme che minaccia prima di tutto il lavoro di chi di arte ci vive. Il pericolo ossia, che siano le aule dei tribunali a stabilire cosa si può dire o non si può dire, cosa si può esprimere o non esprimere, in ambito artistico.

È preoccupante il fatto che si torni a parlare di arte buona e arte meno buona anche da parte di artisti stessi che non hanno perso occasione di bacchettare Gori su ciò che si può o non si può menzionare. Da qui a ritornare a discutere di arte degenerata, il passo è breve.

L’arte per sua natura deve rimanere libera. Lo stabilisce la Costituzione e dovrebbe suggerircelo la nostra stessa umanità. Lasciamo che sia il mercato, al limite, a stabilire cosa funziona oppure no, lasciamo che sia la sensibilità individuale dello spettatore, eventualmente, a decidere se una manifestazione artistica debba essere fischiata o applaudita.

Ma tentare di zittire chi si sforza di costruire una realtà alternativa, fatta di gioco, immaginazione, una realtà che non esiste e dove accade l’impossibile, dove le situazioni trascendono, si rielaborano e danno vita a qualcosa di unico, insomma l’asse portante di ogni espressione artistica, mettere il bavaglio a chi accende in noi queste nuove connessioni o addirittura invocare, anche da parte di chi lavora in campo artistico, un maggior controllo, una maggiore censura, e tutta una serie di limiti e imposizioni affinché non si esca dal perimetro tranquillizzante in cui ci si è sempre mossi, non solo impoverisce il dibattito artistico e alla lunga ovviamente anche l’intera produzione, ma impoverisce l’essere umano tout court.

Se si toglie all’essere umano la capacità di guardare oltre una realtà spesso stantia e fatta solo di regole e divieti, se si toglie all’artista la possibilità di immaginare una realtà nuova e di creare là dove c’era prima il vuoto, e di esprimere questo suo mondo con tutti i mezzi che la sua intelligenza e il suo talento gli rendono possibile utilizzare, allora di fatto si sta togliendo all’essere umano tutto ciò che lo distingue da un animale mosso dal solo istinto di sopravvivenza.

È nel silenzio di molti colleghi-artisti si può leggere, in effetti, quanto questo brutale istinto di sopravvivenza, nella giungla quotidiana del panorama culturale attuale, abbia ormai ridotto il singolo ad avere paura di tutto.

“Se mi metto contro una parte di opinione pubblica mi faranno ancora lavorare? Se scontento qualcuno dei miei fan mi chiameranno per un’altra serata? Se non mi schiero dalla parte della corrente verrò isolato, lasciato indietro e divorato dalle bestie feroci?”

E’ anche e soprattutto per non ridursi così che occorre che l’arte sia più libera possibile. Perché una vita spesa ad avere costantemente terrore di tutto, senza poter immaginare null’altro che non sia la costante e sfibrante lotta con le beghe quotidiane finché non sopraggiunge la morte, non è, a parere di chi scrive, una vita degna di essere vissuta.