I migliori film del 2017 secondo La Scimmia

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10 – Dunkirk, di Christopher Nolan

dunkirk 2017 4kUna vera e propria esperienza visiva per un film bellico decisamente atipico nella forma. Dunkirk non racconta una gloriosa vittoria, non esalta la guerra. Anzi. Se possibile, Dunkirk mostra il suo lato umano ed infame, quello che costringe l’uomo a sopravvivere in un contesto che ben poco si predispone alla sopravvivenza stessa. Il nemico fa paura, c’è ma non si vede. Si percepisce solamente per tutta la durata del film, diviso, come tanto piace a Nolan, in capitoli che analizzano la famosa ritirata strategica della baia di Dunkerque, su una linea temporale spezzata ed accomunata dai quattro elementi. La terra del soldato Tommy, l’aria dell’aviatore Farrier, l’acqua del patriota civile Mister Dawson. Il tutto accomunato dall’incessante fuoco della gerra. Pochi fronzoli, poche parole. L’azione in sostituzione del dialogo. Nolan ci racconta una storia di uomini e di guerra, raccontando il sacrificio e l’amarezza di una popolazione che apparentemente si trovava sull’orlo del baratro in un film che ha segnato l’anno cinematografico appena trascorso. L’accuratezza maniacale degli ambienti e del suono permette allo spettatore di entrare a pieno del film, coinvolgendolo per tutta la sua durata. Un must imperdibile per gli amanti del cinema.
(a cura di Lorenzo Pietroletti)

9 – The Square, di Robert Östlund

migliori film del 2017

L’audace e surreale satira di Ruben Östlund contenuta in The Square, trasforma un museo di arte contemporanea in un bizzarro e disfunzionale mondo ricco di stranezze. Il protagonista è il direttore artistico del museo, Christian (Claes Bang), un personaggio vittima di un senso di colpa che diverrà di dominio pubblico, affliggendo una società in preda ad un esaurimento nervoso mascherato e nascosto dalla provocativa arte performativa. Palma d’oro al Festival di Cannes, il film porta in sala uno spettacolo oltraggioso e folle, sacrificando a volte degli elementi narrativi a favore di delle gustose messe in scena. Ma tutto ruota sempre attorno ad un grido, ripetutamente ignorato: “Aiuto!”. Provenienti dal mendicante fino ad arrivare all’illustre ospite degli eventi del museo, le ignorate suppliche divengono la lamentosa ricorrenza di The Square; una pellicola che cerca di lasciarci a bocca aperta, riuscendo pienamente nel suo obiettivo.

È proprio il disinteresse verso il prossimo nella società moderna a fare da tema centrale della pellicola, ottimamente coadiuvata da delle stupende trovate visive a supportare la narrazione. Ne è un ottimo esempio la scena della cena, dove l’intrattenimento è fornito da Oleg, artista che assume in tutto e per tutto il comportamento di un gorilla. Una cena in grado di donare degli approfondimenti darwiniani sugli abituali visitatori del museo, introducendo un teatro fatto di crudeltà, paura ed umiliazione. Östlund qui leggermente ispirato da registi come Lars Von Trier o Buñuel, riesce a dare vita a quello che è grande cinema.
(a cura di Vanni Moretti)

8 – A Ghost Story, di David Lowery

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A Ghost Story è un film sulla morte e su quell’immenso vuoto che porta nella vita di ognuno di noi. Un’opera audace e magnifica, che vive attraverso delle atmosfere dilatate e una malinconia struggente, che solo un lutto sa dare. Un modo di fare cinema a tratti orientale e che trova il modo di esprimersi attraverso una storia tanto semplice, quanto intesa. Una pellicola fatta di momenti persi nel tempo e che vedono come protagonista, un’anima errante, uno spirito inquieto avvolto da un lenzuolo, simbologia di una morte che separa l’essenza dall’esistenza. Un film capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano e che fa della regia il suo punto di forza. A Ghost Story non è un’opera molto dialogata, a parlare infatti sono le immagini, quelle sequenze funzionali e che riescono a comunicare più di qualsiasi discorso sull’argomento.

Nell’opera potremmo assistere a delle inquadrature ferme, quasi congelate nel tempo, capaci di trasmettere allo spettatore il senso d’abbandono provato dal protagonista e dalla sua assoluta impossibilità di ritornare alla vita. A Ghost Story, soprattutto all’inizio del racconto, esaspera il suo stile registico, fornendo due/tre inquadrature statiche dalla durata di diversi minuti, incredibilmente lente, ma in grado di proiettare su schermo, la morte e tutto ciò che ne comporta. Un film che fa stare male, un disagio però positivo ed utile per vedere la vita con altri occhi, magari più maturi e consapevoli. Una sequela di diapositive, rappresentate artisticamente dal taglio dell’immagine, che mostrano il passato, quel ricordo che per quanto vogliamo, non ci abbonderà mai.
(a cura di Davide Roveda)

7 – Loveless, di Andrey Zvyagintsev

Loveless
Loveless

Crudo, freddo e senza peli sulla lingua, il quinto e ultimo film del russo Zvyagintsev è un chiaro affresco della società attuale, una pellicola dura e di raro fascino visivo. I coniugi Boris (Aleksey Rozin) e Zenja (Mar’jana Spivak) stanno affrontando una burrascosa separazione. Il proprio reciproco odio si riversa inevitabilmente sul piccolo Alyosha , loro figlio, che assumerà una certa importanza nelle loro vite solo nel momento in cui egli scomparirà senza lasciare tracce. Zvjagintsev dà vita a personaggi squallidi e senza un briciolo di umanità. I rapporti tra i due protagonisti e i rispettivi amanti nasconde un egoismo di fondo che preclude la nascita di qualsiasi tipo di amore sincero. Questo perenne distacco tra gli individui è espresso anche attraverso la macchina da presa: le scene di sesso, ad esempio, sono riprese tutte da lontano. Vi è, quindi, una visione piuttosto pessimistica del matrimonio. In secondo piano vi è un’aperta critica alla patria, che trascura il popolo in favore dei propri interessi. Il film gode di una fotografia memorabile, grazie al lavoro di Michail Kričman, capace di rendere scultorei i volti dei personaggi. Loveless è un film imperdibile, un vero e proprio pugno nello stomaco, ma che spinge a molteplici riflessioni.
(a cura di Pierpaolo Zenni)

6 – Blade Runner 2049, di Denis Villneuve

Migliori Film del 2017

Sinceramente parlando, nell’epoca dei sequel e dei remake nessuno si sarebbe mai aspettato il seguito di Blade Runner. Il cult creato da Ridley Scott e ispirato al bestseller Ma gli androidi sognano pecore elettriche? non ha certo bisogno di presentazioni. Blade Runner 2049 è stato forgiato, concepito e girato da un regista che ha dimostrato di essere estremamente a proprio agio nel filone fantascientifico. Villeneuve si è quindi buttato in un progetto altamente rischioso e lo ha fatto palesemente con cura e rispetto verso il capostipite.

Il film può far conto su un aspetto tecnico decisamente sopra le righe. La fotografia curata da Roger Deakins (che finalmente si è aggiudicato l’Oscar) è sbalorditiva e resterà un punto di riferimento per pellicole future. Villeneuve sceglie, coraggiosamente, di utilizzare la CGI al minimo e il risultato risalta in modo notevole rendendo tutto il film estremamente coerente negli ambienti e nelle scenografie.
La storia riprende a piene mani ciò che il Blade Runner di Scott aveva affrontato.
Mentre il primo poneva la domanda di cosa è o non è umano tramite le figure di Rachel e di Roy Batty, nel sequel la domanda sarà un’evoluzione della prima e tutta intorno alla figura del protagonista. L’agente K verrà infatti umanizzato e disumanizzato per tutta la lunghezza della pellicola.

Ogni parte della trama, dal miracolo alla rivolta, è solo ed esclusivamente funzionale a raccontare la storia del protagonista. L’agente K infatti, iniziando la ricerca delle sue origini, inizierà a umanizzarsi. Quindi amerà, soffrirà e avrà in tutto e per tutto sentimenti umani. Tutto questo verrà spazzato via in un attimo nel momento in cui tutte le menzogne costruite intorno a lui verranno rivelate. Dopo questa disumanizzazione, che lo riporta all’inizio del percorso, il protagonista deciderà di farsi guidare dalle proprie emozioni facendo una scelta umana. Cosa c’è di più umano delle emozioni?

(a cura di Claudio Faccendi)