Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione, la recensione

La saga fantasy di Garbiele Salvatores è giunta al secondo capitolo. "Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione" continua il racconto fantascientifico di formazione ma commette gli stessi errori del primo film.

Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione
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Gabriele Salvatores torna dove ci eravamo lasciati appena quattro anni fa. “Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione” è il secondo capitolo della saga di supereroi fortemente voluta dal regista, coadiuvato dall’aiuto di Stefano Sardo, sceneggiatore dell’operazione crossmediale “Monolith“. Supereroi italianissimi, dopo il grandissimo successo di “Lo chiamavano Jeeg Robot” ma che, a differenza del film di Mainetti, prende tutt’altra strada. Non c’è più la periferia romana con le sue micromafie. La scena torna a Trieste, nel freddo e tranquillo nord-est italiano e segue le vicissitudini di un ormai adolescente Michele Silenzi. Conscio ormai dei suoi poteri, Michele dovrà affrontare l’adolescenza con tutti i suoi problemi e parallelamente anche una guerra silenziosa pronta a scoppiare. La vera famiglia del giovane protagonista è ormai riunita e deve aiutare gli altri “Speciali“, uomini mutanti tenuti sotto chiave per esperimenti.

Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione

La mente non può che rimandare agli americanissimi X-Men, soprattutto se andiamo a considerare il fattore della rivalsa da un lato e della ricerca dell’integrazione dall’altro. Ciò che infatti smuove “Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione” è proprio la ricerca di una vendetta legata ad un risentimento verso il mondo esterno. Quel mondo che nel primo capitolo faticava a comprendere il piccolo e timido Michele e che oggi amplifica le sue paure e la sua progressiva emarginazione. Con un balzo narrativo si passa dal micromondo del ragazzo al macrocosmo che vede la sua specie fortemente minacciata, così come l’umanità stessa intesa come le persone care al Ragazzo Invisibile.

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Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione

Così Salvatores prosegue nel suo racconto di formazione con questo “Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione“. Cambiano infatti le vicende e le ambientazioni che si fanno molto più dark. Un film più “adulto” rispetto al primo, un po’ come la saga di Harry Potter. A detta del regista, durante la conferenza stampa, l’idea di base è proprio quella di far sviluppare il personaggio con il suo pubblico in un percorso di crescita parallelo. Per essere il più veritiero possibile, si è avvalso di una serie di temi scritti da adolescenti da tutta Italia. Buonissime dunque le intenzioni, a differenza del risultato finale. Coerentemente con il mondo dei cinecomics, si lascia molto più spazio all’azione ed agli effetti speciali, curati da Victor Perez (Rogue One, Il Cavaliere Oscuro).

Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione

Il comparto visivo, insieme a quello sonoro, è indubbiamente la cosa migliore del film. Complice anche le inquadrature significanti di Salvatores, come quella onirica che mostra una Valeria Golino sommersa da una pioggia di fuoco. Altrettanto notevole la scelta di una variegata colonna sonora che spazia da Puccini fino ai Linkin Park, passando per gli Who. Ciò che viene a mancare nella sua interezza è proprio il processo di crescita del protagonista, troppo esemplificato e stereotipato, così come la narrazione stessa, vittima soggiogata dai cliché americani. Si potrebbe parlare di occasione sprecata ma non sarebbe propriamente corretto. L’idea alla base del film è buona ma la riuscita non è delle migliori. Soprattutto a causa di una recitazione che lascia parecchio a desiderare, sebbene si possa chiudere un occhio vista la giovane età degli attori. Ciò che manca è una struttra narrativa personale che renda “Il Ragazzo Invisibile: seconda generazione” un film sì di supereroi ma libero dallo spauracchio a stelle e strisce.

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RECENSIONE
VOTO
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Lorenzo Pietroletti
Classe '89, laureato al DAMS di Roma e con una passione per tutto ciò che riguardi cinema, letteratura, musica e filosofia che provo a mettere nero su bianco ogni volta che posso. Provo a rendere la critica cinematografica accessibile a tutti, anche al "lattaio dell'Ohio".
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