Barry Lyndon – La recensione

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Una necessaria premessa

«Barry Lyndon offriva l’opportunità di fare una delle cose che il cinema può realizzare meglio di qualunque altra forma d’arte: presentare cioè una vicenda a sfondo storico»

Difficile, quasi impossibile dare torto a Stanley Kubrick, e ciò risulta ancora più complicato quando una riflessione del grande regista rasenta un’assoluta verità.

Pensateci, qual è il più grande sforzo, e il più grande diletto, per un lettore quando  legge un romanzo storico? Ovviamente, il riuscire ad immaginare in modo credibile le atmosfere, le vite, la quotidianità di epoche passate.

Seppur tale attività rende la letteratura una regina tra le arti, è innegabile che ricostruire nella mente un intero periodo storico, che per forza di cose non si è vissuto, è attività proficua ma assai lacunosa.

Non sempre si riesce ad inglobare una atmosfera così lontana nella propria mente, e molto spesso ci si appassiona di più alla trama e meno alle descrizioni.

La mente cavalca rapida attraverso la vicenda, ma spesso zoppica quando si tratta di far rivivere ogni minimo dettaglio. Esprime benissimo questa idea la frase conclusiva della riflessione citata sopra:

«La descrizione non è una delle cose nelle quali i romanzi riescono meglio, però è qualcosa in cui i film riescono senza sforzo, almeno rispetto allo sforzo che viene richiesto al pubblico»

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Esempio pratico

Possiamo fare innumerevoli esempi pratici di questa verità. Prendiamo Notre – Dame de Paris di Victor Hugo, uno dei romanzi storici per eccellenza. Il grande scrittore francese nelle prime pagine del romanzo scrive:

«se il lettore è d’accordo, tenteremo di ritrovare col pensiero l’impressione che egli avrebbe provato con noi nel varcare la soglia di quel salone nel bel mezzo di quella calca in sopravveste, in casacca e in cottardita. E, in primo luogo, brusio alle orecchie, bagliore agli occhi».

A questa introduzione seguono pagine meravigliose, un valzer di descrizioni che portano a galleggiare nello spazio tempo.

Ma ora, cercate di immaginare una pellicola che prenda il posto di Hugo come descrittore, l’impatto con la scena diventa vivo, immaginate queste parole trasformate in immagini:

«sopra le nostre teste, una doppia volta a ogiva, rivestite da sculture di legno, dipinta d’azzurro, gigliata d’oro[…]»

Hugo prende per mano il lettore e lo meraviglia con il suo senso storico; mentre la pellicola apre semplicemente le finestre su quel mondo, non ci fa meravigliare del senso storico, ce lo fa vivere.

Pertanto, sembra proprio vero che una vicenda ambientata nel passato benefici degli artifici del cinema, almeno per quanto riguarda l’aspetto visivo e descrittivo.

Tornando a Barry Lyndon, molto si è detto su questo film, eppure, come accade spesso con le grandi opere, sembra sempre che ci sia ancora qualcos’altro da dire, ma le parole sfuggono e appaiono superflue.

Cercheremo di dire l’ovvio, in modo da far avvicinare anche i neofiti alla pellicola, e tenteremo di dire qualcosa in più per cercare di sollevare altre riflessioni.

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Barry Lyndon

Barry Lyndon è un’esperienza storica/visiva senza precedenti. Anni ad immaginare, leggere, studiare periodi storici, per poi trovarseli in tutta la loro potenza sul grande schermo.

Questa non è una pellicola ambientata nel Settecento, Barry Lyndon è il Settecento, o almeno come ci è stato riportato dagli studiosi e dai documenti.

In prima battuta, perché il romanzo da cui è tratto il film, ovvero Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray è abbastanza vicino al secolo che racconta e, pertanto, ne respira (quasi) la stessa aria. In seconda battuta, invece, perché la ricerca storica portata avanti da Kubrick per la realizzazione del film è di una mole impressionante.

Obiettivo del regista non era di fare un semplice film in costume, ma quello di ricreare un mondo nel maniera più credibile possibile. Come molti di voi sapranno, esempio fulgido di tale ricerca è la decisione da parte di Kubrick di usare solo la luce naturale per le riprese. Una sfida enorme non solo per l’epoca ma anche per i giorni nostri (ricordate The Revenant?).

Per compiere tale impresa, Kubrick lavorò su due vie parallele, prima di tutto studiò forsennatamente l’opera pittorica del secolo per assorbirne i colori, le luci, i gesti dei personaggi, i vestiti, la mobilia. Poi, mise in campo una vera e propria rivoluzione tecnica  — importantissimo ricordare di come Kubrick in quasi ogni suo film riesca ad apportare un’innovazione tecnica, mantenendosi sul confine tra artista e sofisticato ingegnere  — utilizzando delle lenti speciali pensate per la NASA (praticamente la “migliore amica” del grande regista).

Il risultato è impressionante, come potete notare:

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 La colonna sonora

A valorizzare ancor di più le immagini c’è la colonna sonora. Quest’ultima utilizza brani dell’epoca, oppure composizioni del secolo successivo, dando la sensazione, mentre si guarda, di star passeggiando per un importante museo, e quasi si possono sentire i rumori dei passi in quelle enormi sale museali. Una pinacoteca viva.

Barry Lyndon si trasforma, quindi, in una passeggiata nel tempo, ove Sarabanda dalla Suite n. 4 in re minore di Handel diventa una compagna di viaggio di cui non possiamo fare a meno.

Il brano è continuo e costante, rarissime le scene senza musica, eppure non stanca sentire lo stesso motivo per più di due ore di film; anzi diventa la pietra angolare su cui si costruisce l’intera vicenda. Non esiste Barry Lyndon senza la musica di Handel. Lo spettatore ha la necessità che quelle immagini vengano accompagnate da quella musica a cui ci si affeziona subito.

Tale necessita è indotta ovviamente da Kubrick, abilissimo nel trascinare il pubblico nella sua arte, portandolo ad accettare tutto quel che gli si offre. È innegabile che il primo pensiero alla fine della visione sia: “Vedere Barry Lyndon è come assistere alla costruzione di una delle sette meraviglie del mondo”.

Che sembri una piramide o una sfinge, il colosso di Rodi o i giardini pensili di Babilonia, Barry Lyndon resta qualcosa a cui si fa fatica a credere, poiché ci si stupisce sempre dinanzi al genio umano e, soprattutto, del senso di sacrificio dell’artista.

Poiché fare un film come Barry Lyndon non solo è faticoso materialmente, ma soprattutto è spossante intellettualmente.

Una cosa è fare un film, un’altra è fare una ricostruzione storica praticamente perfetta.

Ryan O’Neal

Perfetta anche nella scelta degli attori, che diventano strumenti al servizio della ricostruzione storica.

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Esempio lampante di ciò è Ryan O’Neal (Barry), che pur essendo il volto del celeberrimo Love Story (1970), oggetto del desiderio di numerose donne, sex symbol eterno, per chi guarda l’opera di Kubrick, O’Neal non è altro che Barry Lyndon, o detta più sinceramente Redmond Barry; perché è Redmond che inizia e termina il viaggio, mentre il titolo Lyndon si rivelerà solo un calcolo sbagliato, un azzardo da carte.

Lyndon entra nel cuore dello spettatore come personaggio storico realmente esistito, e la famosa faccia di O’Neal non rompe l’artificio, non scioglie l’inganno.

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I Temi

Il tema principale di Barry Lyndon potrebbe essere trovato nel concetto di ambizione. Tutti i personaggi hanno interessi egoistici. Sono impegnati, nessuno escluso, ad una scalata sociale ritenuta necessaria per la propria felicità. Sembra esserci una continua lotta, una continua diffidenza tra gli uomini che popolano questa opera di Kubrick. Il Settecento viene dipinto come un secolo “faticoso”, difficile da vivere per i ricchi, quasi impossibile per i poveri. Significativamente, il film termina alle porte della Rivoluzione francese, segno che il secolo sta terminando con una crescita esponenziale delle sue contraddizioni.

Un secolo che vive delle barbarie dei secoli precedenti e che intravede il progresso dei successivi. A fare da protagonista, però, non è il Settecento in sé, ma gli uomini che lo vivono. Kubrick, ancora una volta, dipinge l’umanità con caratteri non proprio lusinghieri.

La tenerezza che c’ispira la descrizione di Barry come padre è subito cancellata dalla violenza latente, dalla voglia di sangue. Tale voglia è rappresentata dal duello, strumento fin troppo abusato per riparare le offese, in cui nessuno crede realmente ma che in molti usano come mezzo per chiedere “soddisfazione”.

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Il duello, la cui istituzione durerà fino al ‘900, diventa la chiave per comprendere il personaggio di Barry Lyndon. Quest’ultimo vive per trovare quella soddisfazione di cui parlavamo sopra. Attraverso il duello si costruisce una metafora della sua vita: per trovare appagamento bisogna lottare con le unghie e con i denti, spesso imbrogliando  — altra caratteristica di Barry — o uccidendo. Un uomo eternamente in sfida.

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Ma in verità il mondo di Barry è finto, palesemente costruito da una società stratificata.  I numerosi duelli che si susseguono sembrano voler riparare l’offesa procurata da un uomo verso un altro uomo, ma, in realtà, la “soddisfazione” la si chiede all’esistenza e non all’avversario di turno.

Quella esistenza che, prima o poi, livella tutto e tutti.

Il “sipario” di Kubrick

 

“Fu durante il regno di Giorgio III che i suddetti personaggi vissero e disputarono. Buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora sono tutti uguali”

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