Allied – Recensione

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Il nuovo film di Zemeckis – storico autore dei Ritorno al Futuro e Forrest Gump tra gli altri – è un’inaspettata sorpresa di consapevolezza registica e narrazione vincente. Benché sia stato accolto con freddezza in patria, tanto da venir coronato con una nomination ai Razzie Awards, stiamo sicuramente parlando di tutto tranne che di un film da annoverare tra i peggiori dell’anno passato. Invece, Allied riesce a spiccare in caratteristiche che molte pellicole di tempi recenti non riescono a mantenere: in primis la narrazione in sé come primo veicolo cinematografico, in secundis editing e cura del sonoro. Il tutto è stato reso possibile da una troupe di primo livello, che vede in particolare Steven Knight alla sceneggiatura, figura di spicco nell’ambito, noto ad esempio per aver scritto e diretto Locke con Tom Hardy.

Il calibro attoriale è alto: sono Brad Pitt e Marion Cotillard a interpretare le due spie protagoniste, una inglese e una francese, che durante la seconda guerra mondiale si trovano in missione a Casablanca per ordire un attentato contro un vertice nazista. La coppia resta inevitabilmente avvinghiata in un amore intrigante ed oscuro, dove l’abilità di mentire dei protagonisti non smette mai di instillare sospetti nel pubblico. Subito si prospettano scene di azione ben calibrate, precedute da uno sviluppo canonico del lato bellico delle personalità dei protagonisti: i due si rivelano, dimostrano l’uso delle armi, svelano le proprie abilità e quindi le mettono in atto. L’andamento narrativo della prima parte del film rispecchia a pieno lo sviluppo sentimentale dei protagonisti: la tensione si instaura giorno per giorno, nell’ignoto dell’avvenire, fino allo scatenarsi del fuoco. La prima ondata di passione si estingue nel turbinio delle tempeste del deserto, con la camera da presa turbinante intorno ai corpi dei protagonisti all’interno di una piccola automobile degli anni Quaranta. La scena, nel suo lieve irrealismo, sprigiona un semplice ma efficace messaggio metaforico: la passione dei protagonisti si forgia nella tempesta che è la guerra, e in essa è destinato a perdersi.

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Per l’intera pellicola l’argomento bellico è trattato con attenzione e rispetto, in modalità di pensiero che compaiono analogamente nel recente Ponte delle Spie di Spielberg. Nel film di Zemeckis, al posto degli intrighi internazionali, è il dramma familiare a porsi come scenario principale, per il quale la guerra funge da base di sceneggiatura e controparte emotiva. Lo sviluppo della trama è canonico: i due si stabiliscono nei pressi di Londra e hanno una figlia. A questo piccolo respiro di pace segue un infittirsi di ombre e dubbi, che portano a conclusione la seconda parte del film. La continua attenzione registica agli specchi ci instilla proprio questi sentimenti di oscurità e finzione: la realtà sui sentimenti dei personaggi è continuamente messa in dubbio, in un perpetuo gioco di riflessi emotivi. Con il finale si raggiunge l’apice del dramma, e nella più alta tensione del film le identità e gli ideali dei protagonisti riescono a mostrarsi in modo coerente con la loro costruzione; al contempo, viene nuovamente rafforzata la dignità del mestiere da loro svolto all’interno del contesto storico. Raggiungiamo tuttavia l’unica vera stonatura della pellicola, costituita da un monologo conclusivo effettivamente banale ed evitabile, data la concretezza del vero e proprio finale narrativo.

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In tutto questo, sono le tecniche cinematografiche a trionfare. Il sonoro in particolare è assolutamente degno di nota, e possiamo portare come esempio la già citata scena della tempesta di sabbia: con un crescente e imperante rumore turbinoso si giunge all’ovattato totale e quindi alla transizione repentina. Un altro esempio si ha nella transizione alla scena del parto, nuovamente svolta con gran cura, mostrando inoltre un ottimo lavoro in fase di editing. Infine, la regia è precisa e significativa, condotta in modo che possiamo definire classico. Gli attori mantengono perfettamente le aspettative, conferendo interpretazioni pulite e calibrate, in perfetto accordo con l’andamento dell’intero film.

Quello che abbiamo è in conclusione un lavoro non privo di imperfezioni, in parte sovraretorico e dalle tematiche ben note, ma che comunque riesce a condurre una narrazione avvincente e coerente, dando spazio alle abilità dei vari comparti della macchina cinematografica. Il film è esso stesso un continuo susseguirsi di specchi, a riflesso dei grandi film di dramma bellico di cui Allied si dimostra erede, non solo per quanto concerne il riguardo storico, ma soprattutto per l’attenzione alla tecnica.