Con l’uscita su Netflix della serie Il Mostro, l’interesse per uno dei casi di cronaca nera più famosi al mondo è tornato altissimo. L’opera, a metà tra il dramma giudiziario e il thriller psicologico, ripercorre decenni di indagini, sospetti e ossessioni, mostrando quanto la verità su chi fosse davvero il Mostro resti ancora un enigma. E come accade spesso nei grandi misteri del true crime, tra gli appassionati circola da anni una teoria tanto affascinante quanto controversa: e se il Mostro di Firenze fosse in realtà lo stesso assassino che terrorizzò la California negli anni Sessanta, il famigerato Zodiac Killer?
Secondo questa ipotesi, ripresa negli ultimi anni da alcuni giornalisti e blogger, il serial killer americano che tra il 1968 e il 1974 seminò il panico nella Bay Area, firmando i suoi delitti con lettere cifrate e simboli zodiacali, non sarebbe mai stato catturato. Dopo aver smesso di colpire negli Stati Uniti, si sarebbe trasferito in Italia, dove avrebbe ricominciato a uccidere — questa volta nelle campagne toscane, con modalità diverse ma lo stesso tipo di vittime: coppie appartate, di notte, isolate, lontane da tutto.
Al centro della teoria c’è un nome: Joseph Bevilacqua, detto Joe. Ex militare italoamericano, nato nel New Jersey e poi stabilitosi nei dintorni di Firenze, Bevilacqua avrebbe avuto un passato negli ambienti militari statunitensi e un profilo compatibile con quello di Zodiac. Secondo il giornalista Francesco Amicone, che nel 2020 ha rilanciato il caso, l’uomo avrebbe addirittura lasciato intendere — in una conversazione risalente ai primi anni Duemila — di essere lui stesso il Mostro. Da qui la tesi più estrema: Bevilacqua non solo sarebbe stato il Mostro di Firenze, ma anche il misterioso Zodiac Killer.
Le coincidenze, almeno in superficie, colpiscono. Zodiac e il Mostro agivano in contesti simili, colpendo coppie di amanti in luoghi appartati. Entrambi utilizzavano una pistola calibro .22, e in entrambi i casi l’ossessione per il controllo, la pianificazione e la messinscena del delitto sembrano tratti distintivi. Dopo la scomparsa di Zodiac nel 1974, ecco la comparsa del Mostro, proprio in quello stesso anno. Troppo perfetto per non far nascere un sospetto, dicono i sostenitori della teoria.
Eppure, gli esperti di criminologia restano scettici. Le differenze tra i due casi sono sostanziali: Zodiac era un killer comunicativo, un narcisista che cercava la fama e dialogava con la stampa. Il Mostro, invece, agiva nel silenzio più assoluto, lasciando solo morte e orrore dietro di sé. Le modalità di esecuzione, le mutilazioni sui corpi e la ritualità del delitto fiorentino appaiono incompatibili con il profilo psicologico dell’assassino californiano.
Inoltre, non esiste alcuna prova forense o documentale che colleghi Bevilacqua, o chiunque altro, a entrambi i casi. Le somiglianze restano suggestioni, coincidenze, forse il frutto di una fascinazione collettiva per due storie che incarnano la stessa ombra.
Come spesso accade nel true crime, la forza di certe teorie non sta nella loro verificabilità, ma nel modo in cui riescono a catturare l’immaginazione. L’idea di un unico “super killer” che attraversa l’oceano per continuare a colpire è un racconto perfetto per la narrativa seriale contemporanea. Il Mostro di Firenze su Netflix, pur restando fedele alle fonti giudiziarie italiane, ha riacceso il dibattito e portato anche il pubblico internazionale a confrontarsi con l’ipotesi Zodiac, alimentando forum, podcast e video di analisi su YouTube.
È anche banalmente logico, d’altra parte, che probabilmente Zodiac potrebbe aver adattato al contesto tosco-italiano le sue tecniche, modificandole drasticamente per tutta una serie di ragioni, in primis la lingua, nonché la “notizia” di un americano in paese, cosa non da tutti i giorni negli anni Ottanta.
Che si tratti di un legame reale o solo di una leggenda moderna, il mito resta lo stesso: due figure che, a decenni di distanza, continuano a rappresentare il volto oscuro della mente umana. Due mostri separati da un oceano e da un destino, ma uniti da qualcosa di più profondo — la nostra irresistibile attrazione per il male, e il bisogno di dargli un nome.