Labirinti di Giulio Donato vince il RCFF: la recensione

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Labirinti: un corpo sinuoso e perturbante

Labirinti è il primo film di Giulio Donato, passato nel 2024 alle Giornate degli Autori veneziane e nel 2025 vincitore del premio come miglior lungometraggio al XIX Reggio Calabria Film Fest.

C’è qualcosa che spesso, anzi quasi sempre, sfugge, in quei film che decidono di farsi coming of age, ovvero rappresentare il difficile passaggio alla vita adulta.

Che poi non è un passaggio, ma una vera e propria trasmutazione: e come in ogni mutamento, contiene in sé qualcosa di indicibile, inespresso, ma anche indecifrabile, inconoscibile, inintellegibile. In una parola: di magico.

Labirinti internaUS

E se l’etimologia di magico deriva dal latino magÄ­cus, che a sua volta proviene dal greco magikós (μαγικός), l’aggettivo di magheía (μαγεία), il termine usato nell’antica Grecia per indicare la dottrina dei sacerdoti persiani, i Magi, sacerdoti zoroastriani della Persia (che praticavano poteri occulti); Magu significava grande, potente.

Tutto questo porta a Labirinti: e a quello che in genere manca nei film definiti coming of age, ossia il senso di magia, quella sorta di enigmaticità che è la trasformazione di un corpo bambino in quello adulto.

L’esordio di Donato rimane per tutta la sua durata (80 minuti larghissimi) come sospeso nel tempo e nello spazio: i luoghi visitati dai due sorprendenti protagonisti –Simone Iorgi e Francesco Grillo, esordienti incredibilmente intensi- sono vuoti, deserti, silenziosi.

Dal tamburo al silenzio: l’adolescenza che brucia

In contrasto con un inizio frastornante, che risuona dei rulli di tamburo delle sagre di paese del Meridione, Labirinti si snoda scambiando di continuo il piano onirico con quello della realtà: e lentamente emerge dal bozzolo un corpo nuovo, che prendendo forma prende coscienza di sé stesso, della propria estraneità a tutto ciò che lo circonda. E per arrivare nella nuova dimensione, si deve passare dalla preistoria (il museo sul finale) e tornare a suggestioni ancestrali e universali.

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Crudele e ineffabile, cinico e spietato, Labirinti ha l’andamento flessuoso e acerbo dei due attori, e da loro si fa trasportare: l’inconscio si intreccia con la matericità dei loro corpi, il silenzio dei paesaggi si introflette nei loro sguardi, tanto che il film potrebbe seguirsi benissimo anche senza una linea di dialogo, osservando gli occhi di Simone e Francesco e il taglio delle inquadrature, che passa dal realismo magico con cui riprende il territorio alle riprese con taglio classico con cui si forma un dualismo sociale e politico.

Labirinti di Giulio Donato ha vinto il Premio come Miglior Film al RCFF25 – Reggio Calabria Film Fest XIX.

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