A cura di Monica Rovati Trombin
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Dakota Johnson, Chris Evans e Pedro Pascal sono i protagonisti di Material Love, un intimo e poetico specchio sulla vita dei Millennials di oggi
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Non mentiamo se diciamo che, Material Love, la nuova pellicola scritta e diretta da Celine Song è letteralmente una delle più attese di questa stagione: da quando è stato annunciato il magico trio che avrebbe interpretato i protagonisti, i fan hanno iniziato a contare i giorni sul calendario che li separava dall’uscita del film.
Dakota Johnson con i suoi occhi da cerbiatto, il sex symbol Chris Evans e il sogno proibito di mezzo mondo Pedro Pascal, prestano i volti alla commedia romantica Material Love, che in realtà così tanto commedia non è.
Material Love esplora il mondo dei servizi di dating d’élite di New York, per uomini e donne che hanno superato una certa soglia d’età e che quindi credono di non essere più in grado di trovare un partner da soli.
Ma se pensate di entrare in sala ed assaporarvi solo una classica rom-com strappalacrime, non è questo il caso. Dopo tutto ricordiamoci che la Song è la stessa regista che ha portato al cinema due anni fa il film coreano Past Lives, un’intensa storia d’amore drammatica che racconta in modo introspettivo la potenza dei legami profondi, quelli indissolubili dal tempo, che però non riescono ad avere un lieto fine.
Se in Past Lives la riflessione sulla distanza geografica e temporale della storia era semi-autobiografica, in Material Love l’idea della trama nasce grazie alla reale scena newyorkese, che vive in un continuo match mercerizzato tra persone. Diversamente dal suo primo lavoro infatti, questo suo secondo film prende ispirazione dalle rom-com anni ’90 e 2000, di cui ne rispecchia la parte iniziale di Material Love, più fiabesca, gioiosa e addirittura quasi frivola.
In corso d’opera però capiamo che l’intento della regista è tutt’altro e il film non è per nulla quello che ci si aspetterebbe: la pellicola vira infatti verso temi più moderni e intricati, fonde cinismo romantico e dramma sociale per analizzare le fragilità delle relazioni di oggi, molto più materiali e utilitaristiche di quanto si possa immaginare.
I valori umani si mischiano alle esigenze concrete della società dell’occidente: si parla della fase di innamoramento ma anche di convivenza, di denaro e carriera ma anche del cercare una relazione vera e duratura oltre i 30 anni, o meglio, la donna o l’uomo ideale per poi arrivare al matrimonio.
Insomma un film d’amore, con sfumature leggermente drammatiche, che racconta una storia fastidiosamente reale. Uno spaccato della società di oggi, in cui il solo amore incondizionato non basta più a portare avanti un legame dove le “cose” materiali, il lavoro e le ricchezze, hanno il sopravvento. Sotto quest’ottica l’amore della tua vita rischia di dissolversi solo perché non ha i soldi per una cena, perché non ha una professione di rilievo o non ti può portare dall’altra parte del mondo in vacanza.
Ecco perché Material Love mostra come il bisogno di emergere ci può trasformare, portandoci a credere e volere cose diverse nel corso degli anni, proprio come succede alla protagonista e al suo fidanzato storico, lasciato per cercare disperatamente uno status migliore. Ma allo stesso tempo, il film ci dona anche la chiave di volta per salvarci da questo contemporaneo cinismo.
E così in questo modo Celine Song ci inganna con maestria: ci illude inizialmente di assistere al solito film romantico, per poi cambiare tono e illustrarci il vero volere materialistico moderno, per poi restitutrici sul finale quel senso di speranza verso l’amore, facendoci capire che in alcuni casi la vera felicità, in cui ti senti completo con la tua metà, è ancora possibile.
Per farlo la regista pesca di nuovo dalle commedie romantiche degli anni ’90 e 2000, dove a farle da padrone troviamo i famosi discorsi d’amore, quelli lunghi ed intensi da far battere il cuore, che allo stesso tempo non sono mai banali, capaci di far scegliere la via della passione anche al più maledetto degli uomini.
Per questo motivo la pellicola è una lettera d’amore ai Millennials, quei trentenni cresciuti con le storie dei film cult, che ancora cercano l’anima gemella e credono disillusi di non poterla trovare, perché trasformati dal proprio vissuto e dal materialismo moderno.
Ma è anche un barlume di speranza per spronarli a non cedere all’etichetta di “zitella” o “scapolo” a vita, perché dopo tutto un Chris Evans, un Pedro Pascal o una Dakota Johnson possono essere proprio dietro l’angolo.
Insomma chi si aspetta di trovare solo una semplice commedia romantica potrebbe restarne parecchio deluso. Chi invece vedrà il film con la mente aperta, pronto ad essere stupito, scoprirà una storia esteticamente elegante, dai temi spinosi ma maledettamente reali.
Passando alle parti tecniche, nel complesso Material Love è una coccola per lo spettatore, un prodotto dolce e delicato.
Proprio come in Past Lives, anche in questo film la regia è quasi poetica, capace di regalarti uno spettacolo plateale ma allo stesso tempo intimo al punto giusto.
La sceneggiatura e i dialoghi sono interessanti e dinamici, riflettono l’ambiguità emotiva dei personaggi e giocano sulla schema del triangolo amoroso tra la donna bella, brava ed arrivista di Lucy/Dakota, il partner perfetto sulla carta di Harry/Pedro e l’ex idealizzato ma economicamente instabile di John/Chris.
Anche una volta finita la visione del film, molti dialoghi e racconti continuano a smuovere riflessioni e domande nel pubblico (come: si possono davvero allungare di 15 centimetri le gambe solo per apparire meglio nella società? Puoi davvero continuare ad amare la stessa persona per così tanti anni, anche se ti ha lasciato per raggiungere uno status migliore?).
Ma la vera firma di Celine Song è nuovamente la fotografia, con quell’inconfondibile color pastello, un retrò elegante che ti avvolge e rassicura. I colori di Material Love sono gli stessi di Past Lives ma in versione “hollywoodiana”, ovvero leggermente più sgargianti e caldi, per rispecchiare quella speranza che, diversamente dal primo film, qui c’è davvero in fondo al tunnel.
Ricordiamo che la regista e sceneggiatrice è solo al suo secondo film, ma in pochi anni ha catturato la critica di tutto il mondo, soprattutto quella di Hollywood, mostrando un talento in progressiva crescita. Siamo quindi sicuri che pian piano ci stupirà con progetti sempre più grandi (basti pensare, che solo qualche giorno fa, la Sony ha incaricato proprio alla regista sudcoreana naturalizzata canadese di scrivere, dopo quasi 30 anni, il sequel del film cult Il matrimonio del mio migliore amico).
Arriviamo ora ai tre protagonisti che, ancora prima che uscisse il film, avevano già fatto impazzire i social con foto e video degli shooting promozionali e del press tour mondiale.
Se fossi stata in Dakota, scegliere tra Chris e Pedro sarebbe stata una decisione molto ardua, se non la più difficile della vita, sia a livello emotivo che mentale.
Pedro interpreta un ricco affarista di private equity e nel film ha un’incredibile carisma spontaneo. In una scena vengono persino elencate delle caratteristiche che sembrano delineare il vero profilo dell’attore, che rispecchia la personificazione del compagno ideale e razionalmente perfetto.
Purtroppo però il suo ruolo viene poco approfondito, lasciando il personaggio troppo in superficie; anche se in realtà questo aspetto riflette effettivamente il modo in cui viene descritto nella pellicola: “un unicorno” ricco, stabile, attraente ma distaccato e fragile, non in grado di far entrare davvero qualcuno nel suo mondo interiore.
Totalmente diverso invece l’approccio di Chris Evans, che diversamente dal collega ha accettato un ruolo che capovolge la sua immagine di divo ed eroe irraggiungibile, per renderlo al contrario un’affascinante uomo squattrinato, nel ruolo di un attore teatrale in continua ricerca di lavori per tirare avanti.
Il personaggio, che sarebbe l’ex storico della protagonista, incarna la crisi esistenziale di chi si sente umiliato dalla precarietà, ma che allo stesso tempo rappresenta un’interessante autenticità emotiva e vulnerabilità umana. Quella di Chris è stata una grande prova attoriale, che ci ricorda la bravura spesso sottovalutata dell’attore.
Dakota Johnson dal canto suo, è brava a personificare la donna sofisticata della grande mela, calcolatrice e bellissima, influenzata dalla continua ricerca della stabilità finanziaria. A inizio film impariamo a conoscere lei e la sua freddezza, sia sul lavoro che nella vita, ma nel corso del film capiamo che sotto sotto è molto di più: è ironica ed empatica, nasconde al suo interno parecchi valori e una fiamma che arde di voglia disperata di riscatto personale.
Tratto costante che ritroviamo tuttavia in questo film, come in altri lavori della Johnson, è la poca chimica dell’attrice con i suoi co-star maschili. Spesso infatti sembra avere più intesa con le sue partner femminili, come se con gli uomini non riuscisse a trovare l’affiatamento corretto.
C’è infatti sicuramente una bella sintonia con Chris e Pedro, ma finisce lì… almeno nel film, perché invece durante il press tour abbiamo visto spesso degli sguardi fugaci e languidi da parte di Dakota verso il suo collega Pascal. Questo è esattamente quello avremo voluto vedere anche nel film, almeno da parte sua.
Per vedere Material Love al cinema manca ancora un pò di tempo: gli affascinanti protagonisti arriveranno nelle sale italiane solo il prossimo 4 settembre, quando in realtà negli altri paesi il titolo è già uscito da parecchie settimane.
Dunque solo un mese e potrete poi decidere se siete #TeamChrisEvans o #TeamPedroPascal in questo contemporaneo triangolo amoroso (oppure se shipparli direttamente entrambi, tanto in ogni caso varrebbe comunque nel complicato gioco della vita moderna).
Andrete a vedere Material Love?