The O.C.: perché vedere la serie almeno una volta

The O.C.
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Vi ricordate The O.C.? Una serie che ha segnato gli anni 2000, ora finalmente disponibile su Amazon Prime Video: ecco perché recuperarla quanto prima!

The O.C. è tornato disponibile su Prime Video in un momento storico non casuale. Nel 2025 sui social impazza la moda anni 2000, si sta vivendo un vero e proprio revival che rappresenta il bisogno di riappropriarsi di un tempo narrativo che sapeva raccontare la complessità delle emozioni senza iperbole, cinismo o fretta.

In questa cornice di ritorno dei primi anni duemila, The O.C. emerge come un oggetto culturale più vivo e attuale che mai. Non si tratta solo di nostalgia, ma di una riscoperta identitaria. In un’epoca dove l’identità è continuamente esposta e analizzata, The O.C. parla di fragilità senza mai spettacolarizzarla.

Un classico pop che sapeva già tutto del nostro presente

Creata nel 2003 da Josh Schwartz (al tempo 26enne e più giovane showrunner della storia della TV americana) The O.C. ha segnato un’era. Non solo per il pubblico adolescente di allora, ma in generale per la televisione mainstream. Il suo merito è quello di fondere due mondi che raramente si incontravano in modo credibile: il teen drama sentimentale e la satira sociale sul capitalismo suburbano californiano.

Ryan Atwood (Ben McKenzie), ragazzo problematico di Chino salvato e accolto dalla ricca famiglia Cohen, è l’elemento di disturbo nel tessuto patinato di Newport Beach. La sua presenza mette in luce l’artificialità del benessere che lo circonda, rompendo l’omogeneità bianca, ricca e conforme dell’élite locale.

Accanto a lui Seth Cohen (Adam Brody), ironico, goffo, nerd che introduce la dimensione meta-testuale. The O.C. è consapevole del proprio essere serie, citazionista, pop e autoreferenziale. Oltre i due protagonisti menzionati prima abbiamo loro: Marissa Cooper (Mischa Barton) fragile regina del liceo e Summer Roberts (Rachel Bilson) che da stereotipo di “hot girl” evolve in personaggio femminile tridimensionale.

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Ognuno di loro riflette su una sfaccettatura dell’ansia sociale contemporanea: il senso di inadeguatezza, la pressione del successo, il disagio familiare e il bisogno di fuga.

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La scena della sigaretta, l’inizio di tutto

La scena più iconica dell’intera serie, e forse anche della storia della televisione anni 2000, si consuma in silenzio, lontano dallo sfarzo della borghesia californiana. Ryan appena arrivato a Newport, esce da una festa nella villa dei Cohen e trova Marissa seduta sul marciapiede, vestita di bianco, visibilmente spaesata, eterea. Sta fumando e gli offre una sigaretta.

“So, who are you?”

“Whoever you want me to be”

Una frase apparentemente leggera, ma in realtà di una profondità straordinaria. Marissa non è solo un’adolescente carina un po’ ubriaca. E in quella risposta c’è tutta una crisi identitaria, il bisogno di compiacere, una fragilità profonda. E’ il primo scambio con Ryan, ma anche il primo atto di una storia destinata a consumarsi nel tentativo di salvarsi a vicenda.

La sigaretta non è un vezzo estetico, è un oggetto cruciale, un ponte tra due mondi, due classi, due solitudini. Non c’è musica diegetica a coprire la tensione solo sguardi. Una delle rare scene di silenzio emotivo in una serie costruita su dialoghi brillanti e colonna sonora impeccabile. In quel gesto tanto semplice quanto potente c’è tutto: desiderio, autodistruzione, attrazione.

Una serie sull’identità, la classe e il trauma

Ciò che rende The O.C. ancora più rilevante è la capacità di trattare temi che nel 2003 erano veri e propri tabù. Questa serie è uno dei pochi teen drama ad avere un protagonista working class. Ryan non è solo il povero tra i ricchi, è la lente attraverso cui guardare Newport Beach da fuori, con distanza critica. Mai ridotto a simbolo, sempre trattato come persona con sogni, rabbia e dignità. Così venne fatta una profonda analisi sulle diverse classi sociali, al tempo non scontata.

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Tramite Marissa gli autori trattano la salute mentale, il suo alcolismo, la sua depressione latente, i tentativi di autolesionismo che non vengono mai pienamente risolti. Ogni personaggio di O.C. ha i suoi demoni e la serie volontariamente non offre mai redenzioni facili, li fa soffrire fino ad arrivare all’incredibile finale. Gli scheletri nell’armadio definiscono la propria identità.

I demoni citati prima sono sempre legati al peso della famiglia. Famiglie disfunzionali, divorzi, assenza di comunicazione, il trauma non è solo narrativo ma strutturale. L’impalcatura stessa su cui poggia la gabbia dorata di Newport.

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Una serie che ha plasmato la TV ed il web

Non bisogna dimenticare l’influenza che The O.C. ha avuto a livello televisivo. E’ la serie che ha lanciato la moda delle super soundtrack d’eccezione, che ha codificato lo stile “hipster suburbano” e che ha anticipato il linguaggio ironico auto consapevole di prodotti come Gossip Girl o il più recente Euphoria. Ha fatto nascere persino dei meme nella contemporaneità.

Conclusioni

Rivedere The O.C. significa guardare al passato non per fuggire dal presente, ma per capirlo meglio. Non è una serie perfetta, e forse è proprio questo il suo pregio, è imperfetta, malinconica, vera. I suoi personaggi non vincono sempre, non guariscono completamente, non si salvano per forza. Ma ci provano e nel provarci e fallendo ci assomigliano.

Nel tempo delle performance e del controllo, The O.C. ci ricorda che anche la confusione, la tristezza e l’inadeguatezza sono parte della crescita. E che certe sigarette, certe frasi sussurrate a bassa voce, certi sguardi scambiati possono segnare l’inizio di tutto.

A cura di Michele Scarperia

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