Venditti caustico: “Il meccanismo dei talent è infernale”

Parlando con Leggo, Antonello Venditti ha detto la sua sulla situazione dei talent in Italia

antonello Venditti
Credits: Antonello Venditti / YouTube
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Parla Antonello Venditti

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A quarant’anni dall’uscita del celebre album Cuore, Antonello Venditti torna a emozionare il suo pubblico con un tour celebrativo che si è aperto in un luogo fortemente simbolico per lui: le Terme di Caracalla, nel cuore di Roma. Il cantautore, icona della musica italiana, ha scelto di inaugurare il viaggio musicale proprio nella “notte prima degli esami”, un omaggio diretto a uno dei brani più amati del suo repertorio.

Il concerto-evento che ha segnato l’inizio del tour non è stato solo una rievocazione nostalgica, ma una celebrazione viva e potente di brani che hanno segnato intere generazioni, come Ci vorrebbe un amico, Stella e Piero e Cinzia. Venditti lo definisce «un concertone, che si arricchisce e si rinnova sempre, dove sono più sintetico e lascio parlare la mia musica, per far godere il più possibile al pubblico le canzoni, con i loro testi che parlano da soli».

Tra una canzone e l’altra, Venditti, parlando con Leggo, si lascia andare anche a riflessioni profonde sull’evoluzione del mondo musicale e sul ruolo sempre più centrale dei talent show. Alla domanda se oggi sia più semplice emergere grazie a questi format televisivi, il cantautore romano risponde senza mezzi termini:

Il sistema dei talent è competitivo, non forma e non fortifica ma chi vince, con tutte le sue fragilità, viene poi spodestato dal vincitore del talent successivo, ogni anno ne crei uno nuovo e ne sotterri un altro… I ragazzi che oggi fanno musica sono fragili, non hanno l’esperienza, le spalle coperte, la cultura sufficiente per farcela da soli in un mondo musicale che è un vortice, un frullatore, pensiamo a Sangiovanni o ad Angelina Mango.

Oggi nascono con il ‘sold out’ incorporato e invece deve essere una lenta conquista – dice Venditti. Si sta in un ingranaggio infernale! Allora, invece, nelle cantine o nei locali come il Folkstudio a Roma, c’era il giusto tempo per crescere, per confrontarsi sulla base di una giusta idea di emulazione e non di competizione, non c’era l’ansia di avere i voti perché i voti ce li davamo noi da soli e tra di noi si parlava di arte, di poesia, di musica, non di sfruttamento commerciale di un’opera.

Per questo motivo, il mio augurio agli studenti resta quello di non fare della matematica il loro mestiere; a loro e ai giovani artisti dico di non essere calcolatori, di non farsi schiacciare dai numeri e dai risultati

Lo spirito collettivo e il fermento creativo degli anni Settanta e Ottanta rappresentano, per Venditti, una stagione irripetibile. Quel periodo ha visto nascere una vera e propria scuola del cantautorato italiano, che secondo lui fu resa possibile grazie a una condivisione autentica di intenti tra artisti:

Eravamo davvero un bel nucleo di cantautori, tutti per uno e uno per tutti, per cambiare la musica popolare italiana e ci siamo riusciti

Tuttavia, l’artista non si limita al ricordo, ma lancia anche un appello concreto alle istituzioni. A suo parere, la musica leggera italiana ha bisogno di essere sostenuta, nonostante il ruolo centrale che ricopre nell’industria dello spettacolo nazionale:

Ora, però, serve una legge – dice Venditti. A torto si pensa che la musica leggera sia ricca, perché regge quasi da sola l’intero sistema dello spettacolo italiano, ma non viene sostenuta. Servono fondi per coprire le disparità territoriali: oggi, ad esempio, non si suona in Sardegna perché costerebbe più del doppio rispetto a organizzare un concerto a Roma o a Milano: e allora, lì dovrebbe arrivare lo Stato a colmare le differenze

Uno dei momenti più toccanti dell’intervista è l’omaggio a chi, come lui, ha fatto la storia della musica italiana. A partire dai “quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla”, protagonisti della sua celebre canzone, il cantautore apre idealmente quel gruppo ad altre figure straordinarie:

Lucio Dalla: mi ha salvato la vita, quando ero depresso e avevo tentazioni suicide. Ma anche Pino Daniele era dei nostri, come pure Fabrizio De Andrè. Oggi direi Achille Lauro: lui è un’installazione artistica vivente ed elegante. E Ultimo, che oramai non ha più bisogno di essere lanciato: a entrambi non servono padri ideali, perché sono diventati padri di loro stessi

Non poteva mancare una riflessione su Notte prima degli esami, brano simbolo non solo della carriera di Venditti ma anche di una generazione intera, che ogni anno si rinnova:

Sì, è stata un miracolo musicale, nata all’ombra di “Ci vorrebbe un amico”. Sarà sempre una canzone contemporanea, visto che ogni anno mezzo milione di studenti affronta l’esame di maturità che, contando i genitori, i nonni, i professori e le loro famiglie, coinvolge milioni di italiani. L’ho cantata anche nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, mi ha commosso il fatto che per quei ragazzi la cella si fosse trasformata in una classe scolastica. Ma non potevo immaginare il successo di “Notte prima degli esami”, era talmente visionaria…

E quando si parla del presente, Venditti non ha dubbi nel definirlo con amarezza e disillusione:

Viviamo tempi brutali, dominati da gente brutale. Oggi viviamo di bugie, io credo sempre nella verità

Che ne pensate?