La seconda stagione di The Last of Us ha suscitato entusiasmi e delusioni, perplessità e dubbi. La serie di TLOU è ancora il miglior adattamento videoludico di questi anni? Ecco la nostra recensione
The Last of Us: la parte 2
Il secondo videogioco della saga di The Last of Us, oggi chiamato Pt. 2 – laddove la Pt. 1 corrisponde agli eventi che abbiamo visto nella prima stagione della serie televisiva – è ricca, lunga e complessa. Stratificata, con vari punti di vista e prospettive che si incrociano, uno scenario intricato con varie forze in campo e spunti su umanità e viltà condotti da violenze e traumi.
C’è tanto da dire e da raccontare, ma ci sono solo sette episodi per la seconda stagione della serie. Molto, molto meno rispetto alle tante ore di gioco, anche volendosi concentrare – come è stato fatto – solo su Ellie per questa stagione, e lasciando la terza da dedicare a Abby in linea con la logica dell’alternanza e dello shifting di personaggio principale adottata nel gioco.
TLOU: una serie horror?
Il poco spazio narrativo disponibile ha comportato, chiaramente, il taglio di moltissimi contenuti e l’appiattimento di tante sfumature e di tanti dettagli che, nel videogioco, contribuiscono all’inspessimento di una tensione sempre crescente e di un senso di angoscia amplificato dal setting horror.
Se alcuni momenti chiave, come quello in cui Ellie suona per Dina, sono stati mantenuti, altri sono stati decisamente modificati e l’idea è quella che la serie voglia spingere molto sulla componente teen drama e sulla relazione tra le due per attirare un pubblico più giovane e più “Netflix”, per così dire. Ma è difficile capire se era davvero necessario farlo in questo modo.
TLOU: una serie di guerra distopica?
Nel frattempo, ovviamente, abbiamo gli scontri tra il WLF e i Serafiti, che ci vengono raccontati solo in parte e mai approfondendo veramente la storia di nessuno dei due fronti. A tratti quindi questo scenario di guerra viene approfondito, a tratti rimane sullo sfondo, e non si riesce a capire mai veramente se o quanto interessa i nostri protagonisti.
Certo, si tratta di un’altra importante caratterizzazione dei disperati tempi post-apocalittici, tempi di crudeltà e soprusi, laddove il vero focus dell’intero franchise riguarda proprio la sopravvivenza dei pochi scampati al Cordyceps e i perenni scontri in cui tutti costoro si perdono seguendo, come Joel o come Ellie, gli impulsi della propria corrotta umanità .
Ma è sufficiente? I contenuti ci sono ma non sono elaborati in modo da trasmettere un messaggio univoco, perdendosi spesso in distrazioni e derive poco necessarie che vanno a sostituire i molti momenti di gameplay impossibili da ricreare. Tuttavia, è proprio quando l’autore principale del videogioco – Neil Druckmann – interviene che la nave appare finalmente trovare la rotta.
Gli ultimi due episodi su sette sono infatti scritti anche da lui – il sesto diretto – e improvvisamente sembra di ritrovare la familiarità con il videogame che un po’ mancava negli altri. O è solo un’impressione? Parte dei fan sostiene a gran voce che l’intervento di Druckmann è stato necessario e decisivo per “salvare” la stagione, proprio sul finale.
Una stagione “di mezzo”
Un altro elemento che funziona è chiaramente quello legato alle interpretazioni, in particolare quelle di Pedro Pascal – vogliamo dare almeno un Emmy a questo signore? – Isabela Merced, Jeffrey Wright e Kaitlyn Dever, una Abby molto più convincente di quanto Bella Ramsey lo sia nei panni di Ellie, in questa stagione almeno.
Ma l’impressione finale generale è che si poteva fare meglio, per non parlare di come chi non ha giocato al videogioco sia rimasto spiazzato e deluso dal finale con cliffhanger: “inconcludente”. Insomma, non ci troviamo di fronte a una stagione “perfetta” come nel 2023. E bisognerà aspettare almeno due anni per sapere come sarà la prossima.
Riuscirà la popolarità del franchise a reggere la prova del tempo?