Mancini, ex banda della Magliana, si racconta a Pulp Podcast

Nell'ultima puntata di Pulp, il podcast condotto da Fedez e Marra è stato ospite Antonio “Nino” Mancini, ex Boss della Banda della Magliana

nino mancini
Credits: Pulp Podcast
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Parla Antonio Mancini, ex boss della Banda della Magliana

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Nell’ultima puntata di Pulp, il podcast condotto da Fedez e Marra è stato ospite un testimone scomodo e difficile da ignorare: Antonio “Nino” Mancini, conosciuto nel sottobosco criminale romano come “Accattone”. Ex colonna portante della Banda della Magliana, Mancini oggi è un uomo che ha cambiato pelle: da criminale a collaboratore di giustizia, da detenuto a operatore sociale nelle Marche. Ma certi fantasmi, quelli che abitano i sotterranei – del Vaticano o dei ministeri – non svaniscono con il tempo. E quando parlano, fanno tremare.

Nino Mancini non è un nome qualunque. Dietro il suo soprannome si cela uno dei protagonisti più controversi dell’organizzazione che, tra gli anni Settanta e Novanta, ha dominato Roma con un mix letale di violenza, affari e alleanze con poteri più o meno occulti. Una storia criminale, certo, ma anche politica, finanziaria, spirituale – come suggeriscono i rapporti mai del tutto chiariti tra la Banda e il Vaticano.

Dopo aver scelto la strada della collaborazione con la giustizia, Mancini ha contribuito a far luce sui meccanismi interni della Banda, rompendo l’omertà e rinunciando ai privilegi dell’illegalità. Tuttavia, nel raccontare la sua verità, non nasconde l’amarezza per come il cinema e la letteratura abbiano – a suo dire – ridotto la complessità della sua figura. In particolare, esprime disappunto per il personaggio di Ricotta, personaggio a lui ispirato, nella serie Romanzo Criminale:

La storia di Ricotta: se uno non sa la storia pensa che il personaggio sia un pappamolle.

Il racconto si fa inquietante quando l’attenzione si sposta sui rapporti tra la Banda della Magliana e alcune istituzioni considerate intoccabili, come il Vaticano. Mancini non fa giri di parole quando parla di Enrico De Pedis, detto “Renatino”, altro nome cruciale nell’organizzazione, e della sua singolare sepoltura nella basilica di Sant’Apollinare:

A me i soldi piaceva magnarmeli. De Pedis invece pensava di arrivare a sventolare l’aspersorio, o a qualche sottosegretariato. Lui ha fatto i morti e le rapine con me, ma è morto da incensurato.

Nel 2005, fu proprio Mancini a segnalare pubblicamente il collegamento tra la tomba di De Pedis e la Banda in un’intervista al Corriere della Sera. Una dichiarazione che passò sotto silenzio, ignorata dalla magistratura fino a quando il caso non fu portato in televisione, dalla giornalista Federica Sciarelli.

E tutto, alla fine, gira sempre intorno al denaro. Secondo Mancini, i tentativi di alcuni membri della Banda di “ripulirsi” passavano per lo IOR, la cosiddetta “banca del Papa”, e per il Banco Ambrosiano:

De Pedis e Carminati volevano arrivare a ripulirsi del tutto. Quindi davano questi soldi al Banco Ambrosiano con l’impegno di riprenderli con gli interessi, ma non c’era nessuna carta firmata.

Quando Fedez gli chiede se lo Ior li avesse poi scaricati, la risposta è cruda

Esatto, loro dicono: c’è Rosone che ce lo impedisce, quindi che fanno? Ti dicono: guarda, Peppe ci mette i bastoni tra le ruote, mettendo per implicito che bisognava farlo fuori.

Tra i momenti più tesi del podcast c’è quello in cui si affronta il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazza vaticana scomparsa nel 1983. Fedez prova a scavare, ma trova un punto cieco:

Guarda, Federico, io non ho problemi a rispondere a niente, però qui mi fa male allo stomaco. Per dire questa cosa mi devo consultare prima col mio avvocato. Renatino De Pedis non l’ha uccisa di sicuro, perché lui voleva arrivare in alto, non aveva il minimo interesse a farla fuori.

Il pontefice dell’epoca, Giovanni Paolo II, viene evocato in tono caustico, tra voci mai confermate e sarcasmo amaro:

E che il biografo dice pure che se scop*va i ragazzini? Ma su, mancava la cocaina ed era Papa Belushi.

Il racconto si chiude su un’altra vicenda ancora oscura: l’assassinio di Pier Paolo Pasolini. L’opinione di Mancini ribalta completamente le teorie più diffuse:

A quei tempi a Roma c’era un reato chiamato biscotto. Se ti rubavano la pipa, tu andavi a denunciare e il poliziotto scriveva: ma a me che caz*o me frega della tua pipa. Pelosi voleva fare il biscotto a Pasolini, l’accordo era: portatemi le pizze e vi do 5 milioni. Poi quella sera sono arrivati, e non avendo le pizze hanno preso a bastonate Pasolini.

Quando Fedez gli chiede perché le indagini furono gestite in maniera così superficiale, la risposta è semplicissima

Perché non gliene fregava niente di Pasolini, si erano levati un nome pesante di torno.

Che ne pensate?

Fonte: Pulp Podcast via MowMag