La storia di Peppino Impastato è il racconto di una ribellione civile nata nel cuore di un contesto mafioso. La sua vicenda incarna il coraggio di chi, pur cresciuto in un ambiente profondamente radicato nella cultura mafiosa, ha scelto di opporsi con determinazione e spirito critico. Divenuto un simbolo della lotta contro Cosa Nostra, Impastato ha pagato con la vita la sua insubordinazione e la sua denuncia pubblica. Questa narrazione ripercorre le tappe della sua vita, il suo impegno politico e culturale, l’omicidio e la lunga battaglia per ottenere giustizia.
Origini familiari e rottura con la mafia
Giuseppe “Peppino” Impastato nacque il 5 gennaio 1948 a Cinisi, un piccolo centro della provincia di Palermo. La sua famiglia era legata da vincoli profondi alla mafia locale. Il padre Luigi, già mandato al confino durante il fascismo per la sua appartenenza mafiosa, e lo zio Cesare Manzella, capomafia del paese ucciso nel 1963 con un’autobomba, erano figure centrali in quell’ambiente criminale. La madre, Felicia Bartolotta, proveniva invece da un contesto civile, figlia di un dipendente comunale, e aveva cercato invano di sottrarsi al matrimonio con Luigi dopo aver conosciuto i suoi legami mafiosi.
Peppino, primogenito della famiglia, visse un’infanzia segnata dal contrasto tra la cultura familiare e i suoi ideali. Dopo la tragica perdita del fratellino Giovanni, morto di meningite nel 1952, nacque un secondo fratello, anch’egli chiamato Giovanni, nel 1953. Sin dalla giovinezza Peppino mostrò una crescente insofferenza verso il clima omertoso e criminale in cui era immerso. Ruppe definitivamente con il padre e venne allontanato da casa per le sue idee contrarie a quelle familiari.
Impegno politico e culturale
Lontano dall’influenza paterna, Peppino Impastato si gettò a capofitto nell’attività politica. A partire dal 1965 cominciò la sua militanza nel PSIUP, fondando il giornalino L’Idea Socialista. Nel contesto delle rivoluzioni culturali e politiche del ’68, si avvicinò ai movimenti della nuova sinistra, aderendo a Lotta Continua e Il Manifesto. Si fece promotore di lotte per i diritti degli emarginati: contadini, operai, disoccupati.
Nel 1976 Peppino Impastato fondò Musica e Cultura, collettivo che si occupava di iniziative culturali come cineforum, concerti, spettacoli teatrali e dibattiti. L’anno successivo dette vita a Radio Aut, una radio libera e autofinanziata, che divenne il canale principale delle sue denunce contro le attività mafiose nel territorio tra Cinisi e Terrasini. Il suo bersaglio principale fu il boss Gaetano Badalamenti, soprannominato ironicamente “Tano Seduto”.
Attraverso la trasmissione Onda Pazza, Peppino Impastato utilizzava la satira per smascherare mafiosi e conniventi, facendo nomi e cognomi in un’epoca in cui il silenzio regnava sovrano.
La candidatura politica e l’assassinio
Nel 1978 Peppino Impastato decise di candidarsi con Democrazia Proletaria alle elezioni comunali di Cinisi. Nonostante le continue minacce, non si tirò indietro. La notte del 9 maggio 1978, durante la campagna elettorale, venne rapito e ucciso. Il suo corpo, adagiato sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani, fu fatto esplodere con una carica di tritolo per simulare un attentato fallito o un suicidio. Accanto venne ritrovato un grosso sasso sporco di sangue, utilizzato probabilmente per tramortarlo.
Quel giorno, l’attenzione dell’Italia era però rivolta altrove: poche ore dopo fu scoperto il cadavere di Aldo Moro in via Caetani a Roma, ucciso dalle Brigate Rosse. La morte di Peppino Impastato passò quindi in secondo piano e venne inizialmente interpretata da stampa e forze dell’ordine come un tentativo di attentato finito male o un suicidio. Una lettera rinvenuta a casa di una zia fu usata per avvalorare la seconda ipotesi, sebbene non contenesse propositi suicidi.
Nonostante la sua morte, la lista di Democrazia Proletaria ottenne un seggio, e Peppino Impastato, votato simbolicamente da 199 elettori, risultò il candidato più votato. Il seggio fu assegnato ad Antonino La Fata.
La battaglia per la verità
La verità sull’assassinio fu mantenuta a lungo nell’ombra. A rompere il muro di omertà furono la madre Felicia e il fratello Giovanni, che denunciarono pubblicamente i responsabili e si schierarono apertamente contro i loro parenti mafiosi. Determinante fu anche il lavoro di Umberto Santino, Anna Puglisi e il Centro Siciliano di Documentazione, fondato nel 1977 e intitolato a Peppino Impastato nel 1980.
Il 9 maggio 1979 venne organizzata, proprio dal Centro e da Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale antimafia, con oltre 2.000 partecipanti. La magistratura iniziò gradualmente a prendere in considerazione la matrice mafiosa del delitto, e nel 1984 una sentenza firmata dal giudice Antonino Caponnetto riconobbe per la prima volta l’origine criminale dell’omicidio, seppure attribuito a ignoti.
Nel 1986 vennero pubblicati La mafia in casa mia e il dossier Notissimi ignoti, in cui si accusava apertamente Badalamenti, già condannato negli Stati Uniti per traffico di droga, come mandante dell’omicidio.
Processi, ostacoli e condanne
Solo nel 1996, grazie alle dichiarazioni del pentito Salvatore Palazzolo, l’inchiesta fu riaperta. Palazzolo indicò Gaetano Badalamenti e il suo vice Vito Palazzolo come i mandanti dell’omicidio. Seguirono nuove indagini, udienze e processi. Nel marzo 2001 Vito Palazzolo fu condannato a trent’anni di carcere. L’11 aprile 2002, Gaetano Badalamenti fu infine riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo.
Nel frattempo, la Commissione parlamentare antimafia aveva istituito un comitato speciale sul caso Impastato, che nel 2000 pubblicò una relazione ufficiale sugli ostacoli e i depistaggi messi in atto da alcuni appartenenti alle istituzioni. In particolare vennero citati il maggiore dei Carabinieri Antonio Subranni e il maresciallo Alfonso Travali per aver sostenuto inizialmente la pista dell’attentato.
Una verità nascosta: Alcamo Marina
Tra le inchieste seguite da Peppino Impastato, una delle più delicate fu quella sulla strage di Alcamo Marina, dove due carabinieri furono assassinati. Cinque giovani vennero arrestati e si scoprì successivamente che le confessioni erano state estorte con la tortura. La strage, con ogni probabilità, era legata a dinamiche mafiose e alla struttura clandestina Gladio. Dopo l’omicidio di Peppino Impastato, i documenti relativi all’indagine vennero sequestrati e mai restituiti, come dichiarato dal fratello Giovanni.
Epilogo
Le indagini sui depistaggi furono affidate ai magistrati Di Matteo, Tartaglia e Del Bene. Tuttavia, nel 2018, la Procura archiviò l’inchiesta: le accuse di falso e favoreggiamento furono dichiarate prescritte. Il GIP Walter Turturici scrisse che le prime indagini sul delitto furono caratterizzate da “un contesto di gravi omissioni ed evidenti anomalie investigative”.