The Last of Us Parte 1 – Recensione del controverso remake

The Last of Us
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Sin dai tempi dei primi leak e ancor di più a seguito del reveal officiale, The Last of Us Parte 1 ha scatenato orde di indignati. Anche i più razionali e pacati, però, non hanno potuto fare a meno di farsi la stessa domanda. Era davvero necessario il remake di un gioco perfettamente giocabile e godibile su PS5 tramite la remastered uscita nel 2014?

Haneke e Hitchcock: di remake e remake

Eppure questa domanda sorge fin troppo spesso, specie di fronte ad ogni opera che anche solo lievemente sfidi il senso comune. Trasposizioni, rifacimenti e reboot sono da sempre i capofila dello scandalo. Quasi mai però ci si interroga sulla loro effettiva riuscita, quanto piuttosto sul motivo che ne giustifichi l’esistenza. In effetti se pensiamo ad un esempio cinematografico, è difficile ascrivere l’operazione di Haneke sul suo Funny Games ad un quadro diverso da un’azione mirata ad un target, il pubblico anglofono, rimasto essenzialmente estraneo alla sua opera.

Allo stesso tempo però in molti altri esempi interviene quell’urgenza espressiva che è il costante confronto con la propria creatura. Un’indagine sempre più profonda, che guarda alla stessa creazione artistica attraverso le lenti del tempo che passa, che non deformano ma anzi svelano dettagli, imperfezioni, e spingono costantemente ad uno studio più attento. E ancora nel mondo del cinema citare Hitchcock ci pone proprio in questa dimensione. Quando infatti il maestro del brivido tornò su L’uomo che sapeva troppo, girandone una nuova versione 22 anni dopo, mise a frutto tutta la sua indagine sull’audiovisione condotta in più di due decenni, e la versò nel remake.

Così questo lavoro si pone in un certo senso in una via media. È innegabile infatti che The Last of Us Parte 1 si rivolga a coloro che sono completamente digiuni del primo capitolo delle avventure di Ellie e Joel, e che quindi potranno godere di questo capolavoro nella migliore veste possibile. Allo stesso tempo però questo remake crea un dialogo con l’opera originaria e instaura nuovi rapporti con il suo seguito. Ci costringe quindi a misurarci nuovamente con un’opera che ha ormai quasi 10 anni sulle spalle e che, come noi, vive nel tempo che scorre.

Allora, se riusciamo a superare le scoglio iniziale e ammettere che in fondo nulla sia davvero necessario, altre domande ci guidano di fronte a The Last of Us Parte 1, e riguardano la sua effettiva esecuzione. Ed è lì che dovremmo andare a cercare la riuscita o il fallimento di questa operazione delicatissima.

The Last of Us Parte 1: visivamente sontuoso, tecnicamente eccellente

Partiamo quindi dal parametro più rilevante di questo remake. Da un punto di vista strettamente visivo, The Last of Us Parte 1 è il videogioco allo stato dell’arte. D’altronde non potrebbe che essere così, essendo basato su un ulteriore perfezionamento del già mirabolante lavoro condotto recentemente per la realizzazione di Parte 2.

The Last of Us

Il lavoro sui dettagli è netto, preciso, carico di significato. Ciò vale tanto per i modelli dei personaggi, la loro fisicità, il loro movimento e la loro espressività, quanto per il level design. Le arene che fungono da sfondo ai vari scontri brillano nella nuova veste grafica, dandoci modo di godere di un impianto artistico di fattura più che eccellente.

Ogni singola animazione è cesellata con maestria, e a tutto ciò si aggiunge la fluidità dei 60 FPS, che non chiede eccessivi compromessi sulla qualità complessiva della risoluzione. Non tutti gli aspetti tecnici sono stati però gestiti con la stessa maestria, ed è in particolare nella gestione dell’illuminazione ambientale che il gioco svela qualche ridondante sbavatura.

Sono difetti che chiaramente non intaccano minimamente l’esperienza che si rivela più immersiva che mai. Il viaggio di Ellie e Joel è come mai prima vivo, vero e violento.

Quanto al gameplay ci sarebbe davvero poco da specificare ulteriormente. Il remake da questo punto di vista è davvero una copia carbone dell’originale, ad eccezione di un’intelligenza artificiale ereditata da Parte 2, decisamente più efficiente e ottimizzata. Ci sentiremo costantemente braccati dai nemici umani, capaci di orientare i propri sensi verso di noi al minimo rumore e di organizzare attacchi coordinati che stringeranno sempre più i confini della nostra zona sicura. Anche in questo caso però, complice qualche script di troppo nelle routine di gioco dei nemici, bisogna ammettere di non essere di fronte alla perfezione.

The Last of Us Parte 1 e Parte 2…

Ma l’unico reale difetto di questo gioco non risiede in queste assolutamente trascurabili imperfezioni. E in un certo senso l’unico problema di questo gioco è una conseguenza della sua essenza e del suo più grande pregio. The Last of Us è un capolavoro, e su questo non si agita assolutamente l’ombra del dubbio. Riproporlo in questa formula così integralista fa però sentire in maniera molto più stridente il peso degli anni che passano di quanto non faccia rigiocare, ancora oggi, l’originale o la sua remastered.

Ed è proprio la straordinarietà tecnica e visiva, che lo pone praticamente già capofila nell’attuale generazione, che stona con un ritmo di gioco eccessivamente cadenzato, che imbriglia il gioco all’interno di una struttura forse troppo rigida. Non aver minimamente intaccato il gameplay loop fa sicuramente parte dell’operazione-remake. Allo stesso tempo The Last of Us Parte 1 si propone come un gioco che esce oggi, e che quindi deve misurarsi obbligatoriamente con il suo sequel.

In effetti The Last of Us Parte 2 riuscì nell’impresa improbabile di superare il primo capitolo. Il gameplay più trasversale ai generi che elegge come riferimento, un ritmo decisamente più variegato, ardite sperimentazioni nel level design che giunge a nuovi gradi di perfezione e persino l’azzardo della doppia storia di vendetta. La formula vincente soffiò via la polvere dal primo The Last of Us, mentre oggi nel remake quella polvere viene rimessa esattamente dov’era.

…e quel cerchio che (non) si chiude.

Ci si rende conto, insomma, che se oggi The Last of Us è invecchiato nel suo genere è solamente per via del sequel. Nel rispetto sacrale di contenuto e forma Naughty Dog ha forse commesso l’errore connaturato al suo merito più grande. Guardarsi indietro dovrebbe essere lo spunto per lo slancio successivo, e non ridursi ad un culto sterile e immobile.

Non bastano, in conclusione, gli interventi a favore dell’accessibilità e della personalizzazione a rendere questo remake un must have. Stiamo però sempre parlando di The Last of Us. Se non avete mai intrapreso il lungo e doloroso viaggio di Joel ed Ellie, questo è il momento migliore per farlo. Per tutti gli altri forse resterà un po’ di nostalgia, o forse la malinconia per quella prima run giocata ormai dieci anni fa. E in dieci anni tutti cambiamo, ma non The Last of Us: il dubbio sulla riuscita dell’operazione forse non è stato sciolto.

Intanto, però, la serie sta per debuttare con la firma della HBO e presto vedremo questo remake anche su PC. E a chiudere il cerchio, forse, era davvero necessario ripartire dall’inizio.

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The Last of Us: Parte 1 Remake | Testato su PlayStation 5

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RECENSIONE
VOTO
8.5
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the-last-of-us-parte-1-recensionePartendo dal presupposto che il titolo originale fu un vero game changing nel panorama generale. Vedendolo sotto quell'ottica questo remake va a rifinire quello che possiamo definire un capolavoro. Questo miglioramento grafico però va un po' a cozzare con un sistema di gameplay ideato per PlayStation 3 tenendolo quindi stretto in una morsa facendo perdere quel senso di nuovo.