Poppy – Flux | RECENSIONE

Poppy
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Poppy si re-inventa ancora una volta e con Flux sforna uno dei dischi rock dell’anno

Ormai è ufficiale: da Poppy e dalla sua musica c’è da aspettarsi solo cose belle. L’artista, cresciuta come youtuber e passata dal pop auto-ironico al nu metal, torna oggi sulle scene con un nuovo album, Flux, condito di un rock alternativo dal sapore anni ’90 e dai tratti heavy ma calibrati. Un lavoro maturo, intelligente, auto-referenziale ma anche fresco ed energico.

Non si può propriamente parlare di pop metal, lo stile sul quale la cantante sembrava essersi stabilizzata nel 2020. Le liriche e il cantato sono molto meno aggressivi in questo nuovo lavoro (anche se non manca qualche bello scream) e le chitarre graffiano ma lasciando parecchio spazio ad atmosfere calibrate e profonde.

Le canzoni mostrano forse per la prima volta una Poppy “seria”, adulta al punto di convertire le proprie esigenze musicali in un lavoro di cantautorato a tratti fine e ricercato. Prendiamo il caso della traccia conclusiva, la migliore dell’album, la più pesante e certo la più impegnativa: Never Find My Place.

Anche il resto della tracklist non si risparmia: Her, Histeria e So Mean in particolare costituiscono la trilogia delle migliori canzoni del disco. L’ascolto nel complesso è in ogni caso fluido e può (potrebbe, diciamo) regalare gioie inaspettate agli affamati di un rock chitarristico d’altri tempi ma realizzato oggi per il pubblico di oggi.

Poppy fa questo, e del resto non soltanto questo: parliamo di una artista poliedrica, capace di mostrare diversi volti e di cambiare tante maschere, ma sempre fuori dagli schemi. Un po’ Grimes, forse un po’ Bjork, Moriah Rose Pereira è un po’ come un giullare che si diverte a far girare i generi tra le sue mani, smentendo preconcetti e stereotipi. Flux, se ancora ce ne fosse bisogno, ne è l’ennesima dimostrazione.