CheekboneZ – Il pop punk revival tutto italiano

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Parliamo di 432 Hz, ultimo progetto dei “giovani e arrembanti” CheekboneZ, come definiti da I Ministri.

CheekboneZ. Di cosa parliamo? La commistione tra pop e punk è sempre stata oggetto di dibattito, perlomeno nel passato. La strana fusione delle melodie pop con i riff semplici e orecchiabili delle distorsioni del punk era cominciata già – seppur embrionalmente – con i pioneri del genere: Ramones e Buzzcocks, per dirne due. Fu con i Green Day, i Weezer e gli Offspring prima, e con i Sum 41 e Blink-182 dopo, che il genere continuò ad espandersi, stravolgendo totalmente la sua origine. Dopo gli anni d’oro del decennio scorso, il pop punk ha ceduto il post a generi vistosamente più attraenti per l’industria discografica, alla continua ricerca del tormentone radio friendly da propinare in heavy rotation su piattaforme e radio.

Ma c’è chi continua a portare alta la bandiera del genere, posizionandosi di prepotenza nel ristretto circuito del pop-punk italiano.

E con buone probabilità di finire in pole position. E’ il caso dei CheekboneZ, la cui storia coincide con quella di una festa scolastica, nel dicembre 2014. Fu in quell’occasione che Vill (Antonio Sorvillo – Voce e chitarra), Mike (Michele Loffredo – Basso), Andrea Migliore (Chitarra solista) e Christian di Tano (Batteria) si resero conto che l’intesa creatasi sul palco fosse di un’intensità tale da dover essere approfondita.

Gli ingranaggi della macchina CheekboneZ – prima Deep Pleasure – iniziano a girare da quel momento. Come ogni band agli esordi, si cimentano in cover di brani più meno noti del filone pop punk; nel 2015, cominciano a lavorare al loro primo inedito “Enemy”, registrato insieme al singolo di successo “Jordana”. La svolta decisiva avviene in occasione del tour “Dieci Anni Bellissimi” de I Ministri, per cui sono gli opener nella tappa di Napoli. Dopo la riuscitissima data, i Cheekbonez rilasciano il loro primo EP su tutte le piattaforme digitali e si mettono alla prova suonando qua e là lungo lo Stivale, riscuotendo un successo inaspettato.

Ma parliamo del loro ultimo album: il sorprendente “432 Hz”

Districarsi nell’universo del pop punk non è semplice, ma 432Hz ci riesce magistralmente: il disco è composto da 12 canzoni (+ bonus track) orecchiabili e “sincere”, in un crescendo di powerchords efficaci e di un sound graffiante e pungente.

432Hz si apre con l‘Intro, capace di presagire solo a stento il passaggio al proiettile di Chronicles of Tana, che colpisce dritto in petto con le sue massicce rasoiate di chitarra. Brani come Brainwashing, U.F.R. e Direction Nowhere strizzano inevitabilmente l’occhio ad un giovane Billie Joe Armstrong e soci ai tempi di Dookie. Qui, con una certa prepotenza, comincia ad emergere la potenza del basso, su cui si incastrano alla perfezione le percussioni.

In Dreams of Wickness è accennata inaspettatamente qualche sfumatura rilassata di indie/garage in stile Arctick Monkeys di Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not. Il sound tagliente scorre fluido su gran parte del disco, interrotto qua e là da brani più tenui come Event Horizon e Unlucky Years. Mentre nella prima l’intrecciarsi delle due voci conferisce al brano un’eccellente potenza persuasiva , la seconda resta più flebile, priva d’impatto, probabilmente la meno convincente dell’intero album.

Accontonata la parentesi apparentemente riempitiva, State Of Anguish è quello che meglio rappresenta l’anima rabbiosa e vivace della band: è un brano immediatissimo, melodico. Di certo non è una canzoncina da canticchiare sotto la doccia, ma piuttosto un pezzo da urlare in faccia a qualcuno. Non è dunque un caso che sia stato il singolo scelto da i CheekboneZ per anticipare l’uscita dell’album. Last but not least, 432 Hz termina con la catartica ballad Snow Flakes: senza infamia e senza lode e nonostante la carica meno aggressiva dei precedenti brani, rimane apprezzabilissima all’ascolto.

Tirando le somme, 432 Hz è un buon disco, libero da qualsivoglia pressione.

Pulsante, vivo. Non si prende troppo sul serio nè avanza nessun tipo di pretese, ed è per questo che suona come un prodotto pregievole. Se la formula del pop punk puzza di vecchio e stantio, come qualcosa di sentito e strasentito, i CheekboneZ stanno dimostrando che, invece, è ancora in grado di esprimersi in modelli interessanti. E siamo sicuri che ne sentiremo parlare ancora.

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