10 film sull’alienazione, ad un passo dalla depressione

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6) Dogville – Lars Von Trier (2003)
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10 film sull’alienazione

Cane mangia cane. L’uomo non è altro che un’animale egoista e feroce, una belva abietta pronta a divorare l’altro per mantenere intatta la propria esistenza.

In Dogville infatti non esistono buoni o cattivi, proprio come non esistono vittime e carnefici, esistono solo lupi pronti ad attaccare l’altri compagno al primo segno di debolezza. Un film che porta inevitabilmente a provare odio per il genere umano, per sé stessi e per tutti quegli aspetti che ci caratterizzano. Un viaggio spiacevole in una piccola realtà, simile a tante ancora esistenti, dove tutti sanno tutto, ma nessuno ama realmente qualcuno. Un posto dove ipocrisie e rancori sopiti smuovono gli animi e dove il male si manifesta nei modi più banali, ma non per questo meno pericolosi. Un piccolo paesino che non è altro che lo specchio della nostra società e della nostra persona.

In Dogville non esistono posti dove nascondersi o pareti dove poter celare i propri segreti, tutto è a nudo e sotto gli occhi di tutti. Lars Von Trier rimuove così i sipari dall’esistenza misera dei protagonisti, mettendo a nudo la vita stessa e la violenza che nasconde. La sopravvivenza è l’unica cosa importante, è non fondamentale come viene preservata. Andare avanti, nonostante i mille problemi è il fine ultimo, anche a discapito di chi si ritrova sul nostro cammino. Un film magnifico, capace di intrattenere egregiamente, trascinando lo spettatore in un luogo, che non è altro che l’archetipo della nostra società.

Un posto ideologico ed astratto, dove cinema e teatro si fondono per dare vita ad una finzione, che potrebbe essere anche la vita stessa.

7) In the mood for love – Wong Kar-wai (2000)

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Un amore frammentato, spazialmente e temporalmente. Una sequenza di ricordi, di flebili flash che mostrano la nascita e la crescita di un rapporto tra due individui, prima estranei e poi amanti. Un film delicato, poetico, che tratta il tema dell’amore in un modo autentico e sincero. Un’opera scevra da ogni banalità legate al genere, che delinea personaggi autentici e tangibili, persi nell’immensità del creato e alla ricerca di una speranza per loro stessi e per i loro sentimenti. Una delle pellicole più belle del nostro secolo, dai colori sgargianti, ma sempre freddi e cupi, accompagnati da una colonna sonora affascinante e perfetta per la storia narrata.

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Un film che vive di attimi, di quelli istantanei e di tutto quello che rimane impresso nella mente in modo indelebile. Un’opera nostalgica, un’alienazione amorosa  che non può non lasciare indifferenti, perché tremendamente vera e sincera. In the mood for love di Wong Kar-wai racconta di un amore semplice e famigliare, ma lo fa attraverso il tempo ed i ricordi, in un’odissea uggiosa e densa di fumo.

8) I’m cyborg, but that’s ok – Park Chan-wook (2006)

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Noi non siamo altro che i figli dei luoghi in cui cresciamo. Riflessi che si alterano in base a ciò che circonda e in che cosa scegliamo di credere. La realtà quindi non è mai concreta, ma sempre filtrata dalla nostra coscienza, luogo in cui risiedono le nostre più profonde convinzioni e il posto in cui albergano i nostri traumi più profondi. Park Chan-wook attraverso il dramma e la commedia decide di raccontare una storia tanto intima, quanto bizzarra. Young-goon è una ragazza che crede fermamente di essere un cyborg, un’alienata che rifiuta la realtà di tutti i giorni, per rifugiarsi in una fantasia dove non esistono limiti.

Un’opera dai colori vividi, capaci di ricordare quelli a pastello, e che donano una maggiore enfasi ad una storia, già capace di arrivare allo spettatore grazie ad una sincerità toccante. Una sorta di fiaba moderna, dove attraverso l’evoluzione ci si modella e ci si trasforma, fino a diventare un qualcosa di nuovo e più conforme ai cambiamenti. Un titolo che spinge a sognare ad occhi aperti, senza ricorrere a facili moralismi, emozioni becere o retoriche di sorta. Un film scevro di elementi superflui, ingenuo e puro, che fa della sua semplicità un’arma utile per parlare di temi profondi e toccanti, senza essere pesante o prolisso. Un gioiello della filmografia orientale.

9) Ferro 3 – Kim Ki-duk (2004)

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Due anime sole, perse nel caos dell’esistenza, che si incontrano per puro caso e che decidono di unirsi in un viaggio simbolico, destinato ad esplorare piccoli universi. Mondi inesplorati, sospesi dal tempo e dalla realtà, che non sono altro che le case lasciate incustodite dai loro proprietari. I protagonisti di quest’opera sono senza un’identità, creature indistinte e alienate che si immergono nella vita degli altri per acquisire colore e consistenza. Spiriti che vagano per il mondo, senza dire una parola e che scelgono un silenzio più significativo per creare una realtà più conforme al vuoto interno che li caratterizza.

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Un film poetico, introspettivo e allegorico, che trascina lo spettatore in una dimensione straniata dalla realtà e che fa della sua natura ermetica il suo punto di forza. Una regia elegante e che si focalizza su dei protagonisti senza voce, quasi per trasmettere allo spettatore, il concetto basilare che senza emozioni non c’è parola e quindi condivisione verso l’altro. Un discorso profondo, affrontato in modo originale e autoriale, che fornisce spazi vuoti e pronti ad essere riempiti dalle sensazioni degli spettatori.

10) L’inquilino del terzo piano – Roman Polanski (1976)

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Roman Polanski continua e conclude la sua trilogia dell’appartamento con un’opera claustrofobica e angosciante, capace di disturbare sia per la sua messa in scena e sia per il significato allegorico di alcune sequenze. Il film, come quello che l’hanno preceduta, annienta ogni certezza, andando a demolire quel rifugio umano in cui tutti trovano conforto o riparo. La casa diviene così una trappola mortale, un’essere vivente capace di modellare in maniera indiretta l’animo delle persone che la abitano, portandole al cambiamento.
L’Inquilino del terzo piano però potrebbe essere anche interpretato come un’allegoria sulla vita sessuale del protagonista e del suo sentirsi donna, in un mondo ancora impreparato per simili eventi. La lenta metamorfosi del protagonista unita ad un’invasione dell’intimità sempre più consistente, potrebbe rappresentare la lotta interiore del personaggio e il giudizio che pesa su di lui. Polanski realizza così un film magnifico che si apre a numerose interpretazioni, spesso accostabili l’una con l’altra, dove i turbamenti profondi dell’animo umano prendono vita in una spirale di pura dannazione.
Una pellicola che sconvolge lo spettatore per la sua atmosfera malata e pressante, dove l’onirico si mescola con la realtà, dando forma ad uno spettacolo grottesco e a tratti teatrale, che cattura ed affascina per la sua poetica decadente.