Negli ultimi anni molte aziende hanno scelto di costruire la propria identità sui social attraverso messaggi pungenti, ironici e volutamente provocatori. È una strategia che funziona, genera interazioni e permette ai brand di restare costantemente al centro della conversazione pubblica. Tuttavia, quando l’ironia sfocia in ambiguità o tocca categorie sociali già oggetto di tensione, la reazione del pubblico può trasformarsi rapidamente in un caso mediatico. È ciò che sta accadendo in queste ore a Ryanair Italia
Il nuovo post Instagram della compagnia low cost ha scatenato un’ondata di commenti, con una parte di utenti convinta che il social media manager abbia semplicemente centrato il suo obiettivo — ottenere una valanga di click — e un’altra che considera il contenuto una caduta di stile, se non addirittura un messaggio dai toni discriminatori.
Come ricordato dalla redazione de La Repubblica, Ryanair non è nuova a uscite che puntano sul sarcasmo. Nel tempo il vettore irlandese ha diffuso messaggi dall’impronta spiccatamente provocatoria come “Il tuo bagaglio non è piccolo, è ottimista”, “Buongiorno a chi è arrivato in aeroporto e si è accorto che il passaporto è scaduto”, “Più facile prendere un volo e trasferirsi che fare lo Spid”. Battute che molti utenti trovano divertenti e altrettanti considerano eccessive: una modalità comunicativa, comunque, ormai riconoscibile e parte integrante della loro immagine digitale.
Questa volta, però, l’ironia si è trasformata in un boomerang. L’affermazione apparsa sulla pagina di Ryanair Italia — “Ci riserviamo il diritto di non servire chi indossa tute da maranza” — ha acceso un dibattito immediato. Il termine “maranza”, in passato usato per descrivere ragazzi con look appariscenti o atteggiamenti sopra le righe, negli ultimi anni a Milano è stato sempre più associato a giovani di origine nordafricana. Una sovrapposizione linguistica che ha reso il messaggio della compagnia particolarmente controverso.
Ad alimentare il malcontento si è aggiunta la caption del post di Ryanair: “Facciamo noi le regole”, una frase che molti hanno interpretato come una provocazione diretta, soprattutto considerando che nella sezione commenti si sono moltiplicati insulti e riferimenti razzisti. Da qui l’accusa: una pubblicità che gioca con stereotipi sociali rischia di diventare discriminatoria, persino se pensata per strappare una risata o cavalcare un trend del momento.