A House of Dynamite: la spiegazione del finale del film di Kathryn Bigelow

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A House of Dynamite è il nuovo film Netflix di Kathryn Bigelow con Rebecca Ferguson e Idris Elba: il racconto delle ore precedenti all’inizio di una possibile apocalisse nucleare, in una storia piena di tensione. Qual è il messaggio del film, e come interpretare le scene finali?

Quello di Kathryn Bigelow in A House of Dynamite è un racconto corale: la stessa storia viene raccontata da più punti diversi, rappresentando quel che che succede in varie branche del governo e della difesa degli Stati Uniti quando un missile con testata nucleare, lanciato non si sa da chi, è in rotta di collisione con la città di Chicago.

I personaggi cercano di sventare l’attacco, tentando nel contempo di capire chi possa esserne l’artefice – Russia, Cina, o forse la Corea del Nord – e preparando una reazione in caso l’attacco andasse… a buon fine. Spetta al POTUS – Idris Elba – decidere che cosa fare, ed è una decisione davvero ardua.

Perché, se l’attacco fosse stato intenzionale, non reagire significherebbe accettare una sconfitta sul piano politico e militare e mostrarsi “deboli” di fronte ai nemici, in un equilibrio mondiale sempre più fragile. Viceversa, lanciare uno o più missili nucleari senza avere le prove dell’accaduto e colpendo un nemico casualmente trasformerebbe gli U.S.A. a loro volta in aggressori.

E come finisce? Se avete già visto il film lo sapete – in caso contrario, ovviamente facciamo SPOILER: semplicemente, non sappiamo come va a finire. Non ci viene mostrato, mentre l’autrice Bigelow ha il coraggio di adottare un finale aperto come scelta stilistica precisa, lasciando in sospeso il destino degli Stati Uniti e del mondo.

Le ultime cose che vediamo in House of Dynamite sono una serie di rifugiati che scappano presso il rifugio anti-nucleare di Raven Rock, mentre uno dei militari si piega in ginocchio disperato. Non c’è motivo di credere che la bomba potrebbe non esplodere e annientare Chicago, ma allo stesso tempo non sappiamo di sicuro che lo farà.

Il punto è che lo scopo della storia non è far “vincere” o “perdere” buoni o cattivi o chicchessia, e nemmeno impartire l’ennesima lezione su quella che tutti sappiamo essere una “casa piena di dinamite”, cioè il nostro mondo da Hiroshima in poi. Lo scopo è, invece, raccontare le piccole storie delle piccole persone che si troverebbero a dover prendere enormi decisioni in una situazione del genere.

E portarci a chiederci: io cosa farei, in quel frangente? Perché ci sono davvero, in varie posizioni e non sono nell’organizzazione della difesa degli Stati Uniti ma di tutti i paesi, persone che dovrebbero prendere quelle decisioni. Senza parlare del presidente, ritratto come un personaggio umano ed esitante, che si troverebbe a dover decidere se esercitare un potere distruttivo immenso.

Un vago indizio su quel che succede però l’abbiamo: durante i titoli di coda possiamo udire suoni lontani di esplosioni, che porterebbero a supporre che una Terza Guerra Mondiale sia in effetti iniziata. Ma lo spettatore è lasciato comunque con il dubbio, e dopo tutta la tensione del racconto non sapere come va a finire è, forse, davvero la cosa che fa più paura.

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