Addio a James Senese
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Napoli piange la scomparsa di uno dei suoi figli più autentici: James Senese, scomparso oggi, 29 ottobre, all’Ospedale Cardarelli a causa di una polmonite che ha aggravato le condizioni di salute già precarie. Aveva 80 anni. Ma per James, l’età era solo un dettaglio: chiunque lo abbia ascoltato suonare anche una sola volta percepiva qualcosa di eterno. Il suo sax vibrava come la città stessa: graffiato, sanguigno, potente.
Non era solo un musicista. Era Napoli incarnata. «Fatto di tufo, lava, mare», come dicevano di lui coloro che lo conoscevano. Come la città, James era impetuoso e tenero, duro ma autentico, mai influenzato dalle mode, sempre fedele a sé stesso.
Nato Gaetano James Senese il 6 gennaio 1945 nel Parco Ice-Snei di Miano, figlio di una madre napoletana e di un soldato afroamericano del North Carolina, James portò fin da bambino il peso e l’orgoglio di una doppia identità. La sua nascita, in una Napoli segnata dalle ferite della guerra, sembra uscita dalle parole di «Tammurriata nera» di E. A. Mario e Edoardo Nicolardi: un bambino nero figlio di una donna napoletana, simbolo di un’Italia che guardava al mondo ma non sempre sapeva accoglierlo. James era quel bambino.
Per James Senese, la sua identità mista fu una forza. Il «nero a metà» — definizione che Pino Daniele userà anni dopo per il suo terzo album e che gli Almamegretta celebreranno in «Figli di Annibale» — incarnava la Napoli fiera e meticcia. «So’ figlio d’a guerra», amava ripetere.
Con la pelle scura in una città povera e segnata dalle difficoltà, imparò presto a farsi rispettare. Il sax divenne la sua voce per affermare la propria esistenza. Fu il nonno materno a incoraggiarlo: «Jè, nun dà retta. Tu sì speciale». Speciale lo è stato davvero. La sua musica, tra sax e voce aspra e poetica, ha attraversato più di mezzo secolo di storia musicale italiana, lasciando un’impronta indelebile.
La sua carriera iniziò con gli Showmen, al fianco di Mario Musella e Franco Del Prete, e proseguì con i Napoli Centrale, gruppo culto degli anni ’70. Il legame con Pino Daniele fu profondo e duraturo. Il 19 settembre 1981, in piazza del Plebiscito, partecipò a uno dei momenti più iconici della musica napoletana: il concerto del Neapolitan Power. James e Pino furono l’anima di quella rivoluzione sonora, che mescolava jazz, blues, funk e melodie mediterranee, dando dignità alla lingua napoletana, senza chiedere permesso a nessuno.
La musica di James Senese era fatta di contrasti: rabbiosa e spirituale, ribelle e accogliente.
Con Franco Del Prete e i Napoli Centrale abbiamo dato voce a chi non l’aveva – diceva – come in Campagna, che racconta il bracciantato come schiavitù moderna, o ‘A gente ‘e Bucciano, sull’emigrazione
Sempre dalla parte degli ultimi, suonava per la sua gente, non per compiacerla. «America è vecchia, Milano è luntana / sanghe perduto e ‘na terra fernuta», cantava nel suo ultimo album «Stiamo cercando il mondo», parole che oggi suonano come un testamento. Il suo sax raccontava la città che amava: piena di cicatrici, ma luminosa.
Collaborazioni straordinarie con De Simone, Gil Evans, Ornette Coleman, Art Ensemble of Chicago e James Brown, che volle incontrarlo all’Apollo Theater nel 1997, segnarono una carriera internazionale. Studiava Coltrane, ma restava sempre sé stesso:
Non mi sono mai svenduto – disse James Senese. Ho sempre cercato un mio linguaggio. Il mio sax porta le cicatrici della gioia e del dolore
Addio James, grazie di tutto.