Il Mostro: la storia di Barbara Locci e perché emerge come eroina femminista

Locci
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Perché il personaggio di Barbara Locci è centrale e importante ne Il Mostro e che significato ha rispetto all’Italia di oggi: parla il regista Sollima

Ne Il Mostro, la serie di Stefano Sollima dedicata ai crimini perpetrati dal misterioso serial killer in provincia di Firenze tra anni ’60 e ’80, il personaggio di Barbara Locci finisce con l’occupare un ruolo di rilievo. Tra ipotesi e ricostruzioni che includono, come recitano i disclaimer di ogni episodio, “elementi di finzione inseriti o modificati per ragioni artistiche”, Barbara Locci, interpretata da Francesca Olia, emerge come eroina femminista.

Nel 1968 Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, 29 e 31 anni, sono le prime due vittime di una lunga serie di duplici omicidi, che sono proseguiti almeno fino al 1985. Tutte le vittime si trovavano in situazioni di intimità, in luoghi appartati, e sono state uccise con la medesima pistola; l’assassino ha poi proceduto ad infierire ulteriormente sui cadaveri delle giovani vittime donne, un fatto che la serie riporta chiaramente come denuncia dei femminicidi e della violenza contro le donne anche riferiti all’attualità.

Stefano Mele, marito di Barbara Locci, viene accusato del primo delitto. La sua confessione, però, rimane confusa e piena di contraddizioni, e si spinge a coinvolgere numerose altre persone del paese. Nel 1970 viene condannato a 14 anni di carcere, ma la sua figura rimane avvolta nell’ambiguità: è davvero un uomo semplice e manipolato, oppure un complice consapevole? Che cosa è successo veramente?

La serie lavora per ipotesi e per coincidenze, portando gli spettatori a riflettere sulle circostanze che vengono presentate e inserendole nel quadro complesso e retrogrado – nonché sessista e patriarcale – dell’Italia dell’epoca. Un flashback ambientato nel 1968 racconta il trasferimento di Barbara e Stefano, sposati in Sardegna, in Toscana, dove prendono in affitto una stanza presso Salvatore Vinci. Secondo il racconto di Mele, l’arrivo di Salvatore segna una svolta.

Qualcosa in Barbara “cambia”, iniziando una relazione con lui, poi con il fratello Francesco e infine con Antonio Lo Bianco. Da qui prende forma la cosiddetta “pista sarda”, un intricato nodo di relazioni ambigue, situazioni sospette e del mistero dell’arma del delitto, elemento che sembra unire tutti i protagonisti di questa vicenda, intuizione riconducibile ad un’altra eroina che si erge in difesa dei diritti delle donne nella serie, il sostituto procuratore Silvia Della Monica.

Sollima ha dichiarato: “Il personaggio che mi ha colpito di più, fin dall’inizio, è stata Barbara Locci: era il simbolo di come le donne fossero considerate. I matrimoni erano combinati, forzati; lo stupro non era visto come offesa alla donna, ma all’onore della famiglia. Se lo stupratore sposava la vittima, il delitto veniva cancellato. Nei verbali dell’epoca leggi come persino i carabinieri giudicassero moralmente la Locci”.

“Io Barbara l’ho guardata con lo sguardo di oggi: una donna costretta a sposare un uomo più anziano, vittima di violenze domestiche e coercizione sessuale. Lei rompeva le regole iniziando relazioni extraconiugali, che oggi sarebbero normali e lecite, certo non punite con la morte. Allora era vista come una donna che andava contro le regole non scritte di una società rurale e patriarcale. Lei ha fatto una scelta coraggiosa”.

Fonti: Amica

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