Parla Martin Suarez, agente infiltrato nel cartello di Pablo Escobar
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Negli anni più bui e violenti del narcotraffico colombiano, quando Pablo Escobar e il cartello di Medellín dominavano il mercato mondiale della cocaina, c’era chi dall’interno combatteva quella guerra silenziosa. Tra questi, un agente speciale dell’FBI che ha vissuto per anni una doppia vita, rischiando costantemente la propria esistenza. Oggi quell’uomo, Martin Suarez, racconta la sua esperienza nel libro di memorie Inside the Cartel, offrendo un punto di vista raro su una stagione di criminalità che ha segnato la storia recente.
Suarez, entrato nell’FBI nel 1988 e rimasto in servizio fino al 2011, operò per lungo tempo sotto lo pseudonimo di “Manny”. All’interno dell’organizzazione di Escobar, riuscì a farsi passare come uno dei più importanti trafficanti del sud della Florida, tanto da favorire – per scopi investigativi – il transito verso gli Stati Uniti di carichi di cocaina per un valore stimato superiore al miliardo di dollari, poi sequestrati dalle autorità. La sua copertura si basava su un mix di competenze nautiche e aeronautiche, una squadra di fidati collaboratori e, soprattutto, una capacità di muoversi in un mondo dominato dal sospetto senza farsi smascherare.
Agli occhi del cartello di Medellín di Pablo Escobar , ero uno dei più prolifici trafficanti di droga del sud della Florida – scrive Suarez in un estratto del libro condiviso da Rolling Stone. Avevo competenze in marina e aviazione, una squadra affidabile e il coraggio di far passare la loro droga oltre confine. Ma la verità era ancora più cinematografica: ero un agente dell’FBI sotto copertura incaricato di infiltrarmi nei più pericolosi imperi della droga in Colombia
Dietro quella facciata da criminale, però, si nascondevano tensioni continue e momenti di terrore. In un’intervista a People, Martin Suarez ha ricordato quello che definisce come il più grave pericolo corso nella sua carriera. Era il 1994, dopo sei anni di attività sotto copertura, quando un sicario gli puntò una pistola alla testa.
Avevo appena chiuso il mio caso in cui mi ero spacciato per un riciclatore di denaro per il cartello della Costa Nord [della Colombia] – ha ricordato. L’atto d’accusa era appena stato desecretato, e io ero l’unica persona non incriminata. Questo mi ha tradito. Il capo del cartello, [noto come] ‘El Toro Negro’, mandò un sicario [killer] per uccidermi. Non avrei mai pensato che mi avrebbero trovato, ma mi sbagliavo. Quando l’assassino mi ha detto di inginocchiarmi, ho pensato di essere spacciato. Ma tenevo la mia famiglia nel cuore e mi dicevo che non sarei morto quel giorno.
La doppia identità, inevitabilmente, non poteva restare confinata solo al lavoro. Martin Suarez ammette che il personaggio di “Manny” finì per mescolarsi con la sua vita privata, influenzando anche il rapporto con la famiglia.
Sebbene ciò abbia prodotto i risultati migliori nei miei casi, ha anche avuto un impatto molto pesante sulla mia psiche. E provavo simpatia per alcuni degli uomini del cartello. Essendo cresciuto a Porto Rico negli anni ’60, sapevo cosa la povertà potesse fare alla moralità di una persona. Ma mi sono sempre ricordato che erano loro a prendere quelle decisioni e che era mio compito annullarle.
Che ne pensate?