House of Guinness: la serie sulla famiglia della birra di cui potevamo anche fare a meno

Guinness
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House of Guinness è la nuova serie di Steven Knight, autore di Peaky Blinders. E sì, è praticamente la stessa cosa ma in Irlanda a metà ‘800, e qua e là si parla vagamente anche di birra. La domanda è: una serie come questa serviva proprio?

House of Guinness: immaginatevi una serie televisiva, creata da Steven KnightPeaky Blinders, e già questo richiama una specifica estetica e uno specifico stile – ambientata in Irlanda a metà dell’800, e che racconta la storia della famiglia Guinness e i retroscena dietro il successo dell’omonimo celebre marchio di birra. Ve la siete immaginata?

Bene, perché questa serie Netflix è esattamente come ve la aspettate: un misto tra Bridgerton e Succession con ambientazione irish, che mette in scena lotte di potere infinite tra irredentismo insulare e influenza della morale cattolica, articolate in innumerevoli intrighi, alleanze segrete, patti clandestini, relazioni proibite e via dicendo.

Insomma, niente che non abbiamo già visto almeno da GOT in poi, ma con un bel po’ di cliché irlandesi tutti ammucchiati insieme, come musiche con continue sviolinate a più non posso, intervallate da qualche inserto moderno come Fontaines D.C. e Kneecap, o tanti bei “fookin” come intercalare ogni due o tre parole come modo facile per rendere i personaggi “cazzuti”.

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Non mancano sbevazzate a ogni pié sospinto, perché quale modo migliore di rendere i protagonisti “fighi” se non farli ubriacare? Per non parlare della trovata orribile di riempire gli episodi di titoloni giganti per sottolineare i concetti più importanti, come a dire AVETE CAPITO, EH? E peggio ancora quando si insiste su come le cifre citate varrebbero “tot” oggi, come se a qualcuno importasse qualcosa.

I personaggi protagonisti appartengono alla solita famiglia ricca ma corrotta, che si abbandona a vizi e dissolutezze nella più piena ipocrisia facendosi coinvolgere in lotte di potere e politiche con svariati commenti sulla moralità e sulle aspettative dell’epoca. Il problema è che non ci si identifica in nessuno di loro, o sicuramente è impossibile sperare davvero che qualcuno di loro “vinca”.

Non abbiamo quindi, parlando di famiglie ricche, né la amabile dabbenaggine dei Bluth in Arrested Development, né la sordida ambizione dei Roy di Succession, ma solo personaggi molto prevedibili che passano il tempo tra scandali e relazioni e le cui vicende sono meno interessanti anche, tanto per dire, della pubblicità. Ah, e nel frattempo non si parla quasi mai della birra stessa, la Guinness, che viene citata forse due o tre volte di sfuggita.

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Cosa rimane? Due ex-attori di Game of Thrones che perlomeno portano un po’ di colore: Jack Gleeson, il buon vecchio re Joffrey, che nei panni dell’estroso Byron è talmente sopra le righe da essere l’unico davvero divertente; e il povero Michael McElhatton, il freddo lord Bolton, qui relegato al ruolo di maggiordomo imbarazzato dalla licenziosità dei padroni.

La serie di per suo è “girata bene”, nel senso che fa quello che si propone di fare nel raccontare una storia con i dovuti momenti di provocazione, intrigando sul destino dei personaggi e dipingendo un quadro storico perlomeno credibile, almeno nei costumi e nelle scenografie se non nei dialoghi o nelle relazioni.

Il problema è che il tutto trasuda della più assoluta banalità, ogni scena sa di già visto e per la maggior parte del tempo è tranquillamente possibile prevedere che cosa accadrà. Una serie quindi che non avvince e non coinvolge, semmai annoia e fa anche cringiare in parecchi punti, lasciando una domanda fondamentale che riecheggia anche dopo l’imperdonabile cliffhanger finale: a che cosa serve, nel 2025, una serie come House of Guinness?

Forse in una seconda stagione avremo una risposta. Forse.

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RECENSIONE
VOTO:
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Andrea Campana
Scrivo di musica, cultura, arte, spettacolo e cinema. Ho pubblicato su SentireAscoltare, OndaRock, Cinergie, Digressioni, Radio Càos, Rock and Metal in My Blood.
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