Negli ultimi giorni il dibattito pubblico sulla pornografia, sui limiti del consenso e sull’esposizione dei giovani a contenuti sessuali è diventato sempre più acceso, specie dopo i casi relativi al gruppo Mia Moglie e al sito Phica.net. Ad accendere ancor più gli animi è stato Simone Pillon, ex senatore e attivista per i diritti della famiglia, che in un intervento all’interno del programma L’aria che tira ha espresso una posizione netta e provocatoria.
Siamo d’accordo che quello che c’è su Phica.net, sul gruppo Mia Moglie, siano porcherie – dice Simone Pillon. E molte dei quali sono anche dei reati. Dove spiegarmi, che differenza c’è tra una ragazzina che si ritrova la fotografia su Phica.net e la stessa ragazzina che, magari convinta o istigata per soldi, perché ingenua o ha bisogno di denaro, a pubblicare le stesse fotografie su Onlyfans?
Il problema è che sono 50 anni che abbiamo una marea di pornografia che ci sta travolgendo sempre di più. E i nostri giovani e anche qualche buon adulto non solo di sesso maschile ma anche di sesso femminile, ormai non sanno più distinguere tra la fantasia e la realtà. Abbiamo un gigantesco problema di invasione della pornografia – prosegue Pillon.
Oggi un ragazzino a 10-12 anni ha già visto tutto quello che c’è da vedere. Non ha più nulla di nuovo da vedere nella sua vita e abbiamo ‘cosificato’ i corpi, cioè i corpi delle persone sono diventate delle cose. Non possiamo pensare di lasciare il discrimine su ciò che è lecito e quello che invece è inaccettabile solamente quella questione della volontà.
‘Io ho dato le mie fotografie perché fossero mostrate e quindi si possono mostrare. Io invece quelle foto non le avevo date o le avevo pubblicate a pagamento, tu le utilizzi su un sito privato e non si può più’. Questa si chiama ipocrisia.
La dichiarazione di Pillon solleva interrogativi complessi. Da un lato, evidenzia i rischi di un’esposizione precoce e massiccia alla pornografia, con possibili effetti sulla percezione delle relazioni, del corpo e della sessualità. Dall’altro, mette in discussione il principio del consenso come unico criterio discriminante, sollevando un tema etico e culturale che va oltre la semplice legalità: la mercificazione del corpo umano e la normalizzazione del consumo pornografico.