King attacca i cinecomic: “La violenza è quasi porn*grafica”

In un’intervista concessa al The Times U.K., Stephen King ha puntato il dito contro l’approccio dei cinecomic alla rappresentazione della violenza

stephen king, cinecomics
Condividi l'articolo

Parla Stephen King

Seguiteci sempre su LaScimmiaPensa e iscrivetevi al nostro canale WhatsApp!

Negli ultimi anni si è acceso un vero e proprio braccio di ferro culturale tra il cinema d’autore e i film di supereroi. Dalle polemiche sollevate da Martin Scorsese in poi, il tema della “dignità artistica” dei blockbuster Marvel e DC non ha mai smesso di far discutere. Ora a riaprire il fronte arriva una voce inattesa ma di grande peso: quella di Stephen King, uno degli scrittori più prolifici e influenti della narrativa contemporanea, nonché autore di romanzi che hanno plasmato l’immaginario collettivo e ispirato decine di film e serie tv.

In un’intervista concessa al The Times U.K., King ha puntato il dito contro l’approccio dei cinecomic alla rappresentazione della violenza. Parole nette, che non lasciano spazio a fraintendimenti:

Se guardi questi film di supereroi, vedrai… qualche supercriminale che distrugge interi isolati della città, ma non vedi mai una goccia di sangue. E per me è sbagliato. È quasi pornografico

Secondo il “Re del brivido”, il problema sta proprio nel meccanismo con cui i cinecomic spettacolarizzano distruzione e morte senza mostrare davvero le conseguenze. Un’estetica “pulita”, che evita dettagli disturbanti per non allontanare il grande pubblico, ma che a suo avviso tradisce la verità stessa delle storie raccontate.

Non a caso, King ha imposto una condizione precisa ai produttori dell’imminente adattamento de La lunga marcia (The Long Walk), romanzo distopico pubblicato nel 1979 con lo pseudonimo di Richard Bachman:

Ho detto, se non avete intenzione di mostrarla, allora non ha senso. E così hanno realizzato un film piuttosto brutale

Diretto da Francis Lawrence e sceneggiato da JT Mollner, il film racconta l’incubo di un gruppo di ragazzi costretti a partecipare a una competizione mortale: camminare senza mai fermarsi, mantenendo un’andatura minima. Chi si ferma o rallenta viene giustiziato all’istante. Solo uno sopravvivrà. Una trama spietata, che già sulla pagina trasudava disperazione e violenza, e che sul grande schermo promette di restituire tutta la crudezza richiesta dall’autore.

Questa scelta si pone in contrasto diretto con la linea seguita da Hollywood quando si tratta di cinecomic. La maggior parte di essi, infatti, evita contenuti espliciti per mantenere il rating “family-friendly”. Le eccezioni, ovviamente, non mancano: Deadpool, The Suicide Squad, Blade, Hellboy e il recente Kraven hanno puntato sulla classificazione R-rated per distinguersi. Ma restano casi isolati, rispetto a una produzione che preferisce distruzione spettacolare e sangue invisibile.

Con le sue dichiarazioni, Stephen King non solo si aggiunge a quella cerchia di grandi autori che guardano con diffidenza al mondo dei supereroi, ma riporta al centro un tema mai del tutto risolto: è più onesto mostrare la violenza nella sua brutalità, o edulcorarla per renderla intrattenimento accessibile?

Che ne pensate?