A House of Dynamite: la recensione dello sconvolgente e fin troppo realistico thriller “da fine del mondo” di Kathryn Bigelow
Alla sua 82esima edizione, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia accoglie il ritorno dietro la macchina da presa di Kathryn Bigelow, a distanza da otto anni dall’ultimo lavoro. Presentato in concorso il 2 settembre 2025, la pellicola si inserisce nel percorso di un’autrice che ha fatto del confronto con l’attualità e le sue zone d’ombra uno dei cardini della propria ricerca cinematografica.
A House of Dynamite, la trama
A House of Dynamite si svolge nell’arco di pochi minuti, quando viene rivelato un missile nucleare diretto contro gli Stati Uniti. La storia segue l’attivazione delle procedure di emergenza e il frenetico susseguirsi di decisioni all’interno delle stanze del potere.
Un mondo attaccato ad un filo
Kathryn Bigelow, portandoci nel cuore delle sale di potere degli Stati Uniti, costruisce un thriller potentissimo sui 19 minuti che dividono il mondo dalla distruzione nucleare. A House of Dynamite è un’opera che non lascia mai un attimo di respiro, un film che fa percepire l’impotenza delle figure rappresentate (solitamente massima espressione di potere) mettendo in discussione un sistema che di fronte all’imponderabile non può fare nulla.
La regista confeziona un test d’ansia collettivo su come viviamo accanto ad una minaccia normalizzata. L’impianto narrativo di fatti ci mostra ogni variabile dell’errore umano, Bigelow alterna macro e micro capovolgendo l’idea di thriller classico, mettendo in scena magistralmente una situazione in cui tutti hanno qualcosa da perdere.
La gestione dell’empatia è straordinaria, la regista umanizza alla perfezione le figure rappresentate. Il film lascia che ogni punto di vista sia giusto e sbagliato al contempo a seconda del minuto e dalla prossimità del pericolo. Arrivando alla domanda morale, tu spettatore arriveresti a premere quel bottone?
Il discorso politico
Il discorso politico che intavola la Bigelow è sempre chiaro senza essere didascalico, il film parla di deterrenza e abitudine all’estremo rischio. Da qui proprio il titolo “casa piena di dinamite” che ognuno di noi vive senza rendersene conto. Si compie una profonda analisi alla follia di vivere sotto questa costante ombra, ed è proprio questo l’elemento che colpisce di più di questa incredibile opera: la normalizzazione dell’ombra è il rischio più elevato. Come spesso capita nei suoi film, la Bigelow indaga alla perfezione il rapporto tra potere e scopi comuni.
Interpreti e lato tecnico
Il cast è eccezionale, Idris Elba mette in scena un Presidente tanto risoluto quanto fragile, lontanissimo dalla figura dell’infallibile. Rebecca Ferguson ha un carisma tagliante, colei che tiene in piedi il mondo quando gli altri crollano, ma senza mai scadere nello stereotipo della donna forte. La regista gli concede tanti momenti di conforto che riportano perfettamente la sua forte umanità.
A fare da contorno, e che contorno, abbiamo gli ottimi Jared Harris, Tracy Letts, Greta Lee e Anthony Ramos. La sceneggiatura di Noah Oppenheim esalta al massimo la narrazione tripartita, aiutato dal montaggio di Kik Baxter e dalla colonna sonora incalzante di Volker Bertelmann. Lato tecnico un film ineccepibile, ma come per tutto il resto d’altronde.
Conclusioni
Con A House of Dynamite, Kathryn Bigelow non solo conferma la sua capacità di trasformare il tempo filmico in un’esperienza fisica e palpabile, ma riafferma anche il proprio posto tra le voci più necessarie del cinema contemporaneo. Quello che accade sullo schermo non è solo intrattenimento, ma un dispositivo di tensione e riflessione che rimane addosso ben oltre la proiezione. Pochi registi sanno orchestrare con tale precisione il ritmo, lo spazio e il peso delle scelte. Se la Mostra di Venezia è il luogo in cui il cinema torna ad interrogare il presente, quest’opera è una delle prove più potenti e memorabili.