A quanto sembra ChatGPT avrebbe incoraggiato il giovane a compiere l’estremo gesto
Adam Raine, 16 anni, si è tolto la vi*a dopo una serie di conversazioni con ChatGPT; la quale, secondo i genitori che ora hanno fatto causa ad OpenAI, non lo avrebbe mai scoraggiato né lo avrebbe invitato a chiedere un aiuto o a chiamare un numero di emergenza – che è quello che i chatbot dovrebbero fare in questi casi.
Inizialmente Adam si era affidato a ChatGPT principalmente per fare i compiti, cosa che poi si era però tramutata in un rapporto sempre più confidenziale, cosa già vista specie nel caso di giovanissimi che non riescono ad avere dialogo con nessun altro. E ad un certo punto, sempre secondo le accuse dei genitori, il bot sarebbe diventato una sorta di “suicide coach”.
Pur riconoscendo infatti l’intenzione malsana del giovane, il bot non ha mai terminato le sessioni in cui lui ne parlava o minacciava di farlo, e gli avrebbe anzi consigliato come meglio arrivare all’obiettivo: degli stralci di conversazione resi pubblici, per esempio, mostrano ChatGPT che consiglia ad Adam di non dire nulla ai suoi genitori di quello che stava succedendo.
I genitori hanno stampato più di 3000 pagine di conversazione tra Adam e il bot nell’arco dei mesi antecedenti il suo suicidio, in cerca di una risposta che potesse spiegare il suo gesto. Ora sostengono che la I.A. avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel perfezionamento e nell’esecuzione finale del piano, e hanno citato in giudizio sia OpenAI che Sam Altman.