per chiunque abbia vito il film...ma anche per chi non l'avesse fatto: ecco tutto quello che c'è da sapere sulla lunga vita editoriale del fumetto dei Fantastic Four!
È impossibile ma sarebbe molto interessante conoscere quanti di tutti gli spettatori di Fantastic Four: First Step che non avevano mai letto un loro fumetto ne abbiano poi comprato uno.
Si, perché la valanga degli adattamenti dei fumetti al cinema, aperta nel 2000 dallo Spider-Man di Raimi, non ha creato quell’effetto osmotico in cui forse inizialmente sia Marvel che DC speravano; il successo globale delle loro produzioni cinematografiche non ha incrementato affatto il mercato a fumetti.
E allora, complice il fatto che nell’adattamento da un medium (la carta) all’altro (lo schermo) sono necessari aggiustamenti e modifiche, quasi sempre quello che si vede al cinema offre giusto una panoramica degli eroi, ma quasi mai restituisce la complessità dei personaggi.
Andiamo allora a vedere il percorso editoriale di Reed Richards, sua moglie Susan Storm, il fratello di lei Johnny e l’amico di sempre Ben Grimm: ovvero, la prima famiglia disfunzionale dei fumetti, l’apripista dei supereroi con superproblemi, i Fantastici Quattro.
La realtà, in tutto il suo dolore
Ideati da Stan Lee nel 1961 ricalcando grosso modo i rivali Challengers Of Unknown della DC Comics, la prima famiglia della Marvel sono il primo fumetto pubblicato in edicola dalla casa editrice newyorkese, almeno nella sua versione moderna.
Se supereroi con superproblemi è il marchio distintivo (e geniale) di Stan Lee e quindi poi della Marvel Comics, quest’intuizione sarà applicata a dovere sul personaggio successivo, lo Spider-Man che da lì a poco avrebbe debuttato in edicola disegnato da Steve Dikto; Fantastic Four sono invece il fumetto che per primo trasla l’epica supereroistica in una narrazione dal contesto più o meno realistico, in una città reale, con rapporti famigliari e interpersonali reali.
Su testi di Lee e disegni del leggendario Jack Kirby, un vero gigante della tavola illustrata, nacquero 125 memorabili albi che posero le basi dell’Universo Marvel per come oggi lo conosciamo e per come ancora oggi dopo 60 anni appare ricco e interessante tanto da rivitalizzare persino i pretenziosissimi schermi cinematografici di tutto il mondo, con personaggi in grado di rappresentare un vero e proprio epos moderno.
In questi 125 numeri sono nati il Dottor Destino (che prossimamente avrà il volto di Robert Downey Jr), Galactus, Kang (si, proprio il charachter sparito di punto in bianco nell’MCU per via delle polemiche attorno alle vicende private del suo interprete, Jonathan Majors) e ancora Pantera Nera, Silver Surfer, gli Inumani, e tanto basti a definirne l’eterna modernità. Fantastic Four è stato realmente, per quasi dieci anni, il più grande fumetto del mondo (the world’s greatest comic magazine! come ha recitato per decenni lo strillo sul logo in copertina), dal quale si diramavano le trame più importanti attraverso il racconto delle traversie familiari dei quattro eroi.
Personalità strabordanti dalla pagina, che si impensierivano per una gravidanza, piangevano per un cuore infranto, facevano scherzi tra di loro e la mattina appena alzati facevano colazione con latte e caffè.
Si sa, in Marvel niente rimane uguale a prima, soprattutto gli autori delle testate. Se allora Lee e Kirby hanno creato quell’universo magnifico e immaginifico, il loro posto lentamente è stato ovviamente preso da altri autori: e su FQ si sono succeduti, dopo di loro, Roy Thomas, Gerry Conway, LenWein, Marv Wolfman (lui con i disegni assoluti di un quasi esordiente Bill Sienkiewicz), fino all’arrivo con il numero 232 di un vero e proprio genio, rivoluzionario del fumetto moderno: Sua Maestà John Byrne.
Fantastici Quattro: rivoluzione e rispetto per il mito
Semplificando, ma giusto per far capire la dimensione dell’artista e la geniale abilità del suo segno: probabilmente, molti immaginano i supereroi proprio così come li disegna(va) Byrne. Figure plastiche, eleganti, all’occorrenza tragiche e disperate, ma incredibilmente sempre moderne e sempre classiche, con quelle linee pulite che infrangono i limiti temporali.
Se qualcuno pensa ai Fantastici Quattro, non si può non andare con la mente proprio agli FQ di Byrne: stessa cosa per gli X-Men, o per gli Alpha Flight, tutti gruppi che Byrne ha scritto e disegnato lasciando un’impronta indelebile.
I Fantastici Quattro, al pari di Spider-Man, sono il simbolo stesso della Marvel perché hanno plasmato, come si diceva prima, un immaginario creativo dalla potenza devastante.
È per questo che il compito di Byrne sulla testata era ancora più difficile: l’autore canadese allora restituisce un ciclo lunghissimo (numeri dal 232 al 295, luglio 1981-ottobre 1986), che ancora oggi è ricordato non solo come il migliore sul quartetto dopo quello di Lee e Kirby, ma tout court una delle run migliori di tutta la Marvel Comics. Mondi paralleli, ucronìe, avventura e fantascienza vecchio stile, citazioni, colpi di scena, e sopra tutto uno sviluppo coerente e affascinante di tutti i personaggi, con tratti umanissimi che danno una profondità pazzesca a tutta la saga.
È con Byrne che la Ragazza Invisibile diventa la Donna Invisibile, acquisendo spessore, è sempre con Byrne che il Dottor Destino diventa uno dei personaggi più stratificati, sfaccettati e realistici dell’interno pantheon deli eroi: i personaggi dunque non vengono solo disegnati, ma anche raccontati, approfonditi, vissuti, al punto che non si può parlare di supereroi, o fantascienza, o avventura, bensì di un dramma umano a 360°, un classico assoluto.
E’ con Byrne che i quattro affrontano le prime vere evoluzioni di continuity, linee narrative che segnano il solco per tutti gli eventi negli anni a venire: Susan affronta un aborto, la Cosa viene sostituita da She-Hulk, viene fuori dalle nebbie del passato il papà di Reed, Nathaniel Richards, e il Dottor Destino inizia quel cammino di redenzione (tanto simile a quello di Magneto, se non maggiore in titanismo) che lo porterà ad essere non solo un supercattivo.
Alla fine del ciclo, gli FQ sono ormai “adulti”: Reed ha un nuovo rapporto con il padre, Susan ha abortito e ha finalmente acquisito una nuova e legittima consapevolezza dei suoi poteri e della sua rilevanza all’interno del gruppo, Franklyn Richards
Va detto subito: il diavolo non è così brutto come lo si disegna.
Denigrato fino allo sfinimento mentre la run era in corso, Tom De Falco scrive i Fantastici Quattro per cinque anni, dal #356 al #417, riempiendo le sue storie con colpi di scena, comprimari, svolte impreviste, ritmi da cardiopalma con i quali tiene alta l’attenzione del pubblico che lo legge. Il suo profondo amore e la sua profonda conoscenza del Marvel Universe fanno sì che le sue storie abbiano un respiro classicissimo e siano profondamente radicate in un passato narrativo a cui non interessa tanto l’approfondimento psicologico quanto la sorpresa.
Sono due le linee narrative principali: l’introduzione di nuovi personaggi come Sharon Ventura (che diventerà la prima She-Thing della storia), Scott Lang e Crystal; e la battaglia contro villain che metteranno a dura prova i legami e le capacità del gruppo, come Annihilus e Dottor Destino. Su tutto, i colpi di scena riguardano più che altro i sorprendenti cambi di formazione del team, mai come in questo periodo mutevole: fuori Reed, dentro Destino (!), fuori Susan, dentro Sharon Ventura e/o Crystal, e così via…
Le storie -con Paul Ryan alle matite, disegnatore solidissimo, non certo un visionario ma neanche un banale mestierante- corrono veloci, ma lo sviluppo delle tantissime trame subisce un arresto imposto, quando nel settembre 1996 la Marvel affida le sue testate storiche (Fantastic Four appunto, Avengers, IronMan; CaptainAmerica) a studi creativi esterni, dando vita alla saga Heroes Reborn. Una saga che racchiude un’epoca e una storia (il fallimento della Marvel, la bancarotta, l’abbandono di alcuni grandi talenti) che costituiscono forse la più grande crisi affrontata dalla casa editrice: ma con i contorni troppo complessi per affrontarli qui.
Il #416, Unfinished Business (Questioni irrisolte: un titolo a caso?) chiude frettolosamente tutto, perché il mese successivo si riparte in tutti i sensi dal numero 1: scrive e disegna la superstar Jim Lee.
Immagina Che.
Onslaught è stato il crossover di metà anni Novanta che ha stravolto il parco testate Marvel.
La mega-storia mette la parola fine a Fantastic Four, Avengers, CaptainAmerica, IronMan. Che però riaprono subito dopo con i relativi protagonisti in un nuovo universo “tascabile” creato proprio dal potentissimo figlio di Reed e Sue, Franklyn Richards: un universo dove gli eroi sono gli stessi, ma riprendono la loro esistenza dall’inizio, con nuove origini e dimentichi di quanto accaduto nei 30 anni precedenti.
Al Fantastici Quattro tocca Lee, enfant prodige, il disegnatore che aveva rivoluzionato i mutanti e che nelle previsioni avrebbe portato il quartetto nel Nuovo Millennio. Ma così non è stato, almeno non come si voleva che fosse.
I Fantastici Quattro scritti da Jim Lee e Brandon Choi e disegnati dallo stesso Lee sono fin da subito sfiatati: programmaticamente, Fantastic Four: Heroes Reborn (il titolo della testata che riparte dal n.1) ricalca le avventure del gruppo originario, cercando di attualizzarle e riproporle per un pubblico giovane. Ma Jim Lee non è John Byrne e nemmeno Tom De Falco, e i suoi FQ sono senza fiato, privi di vitalità, senza mordente, con testi che addirittura spengono anche le matite, bellissime ovviamente, dell’artista coreano. Prese in considerazioni le critiche, la Marvel pensa di correre ai ripari: e il ciclo successivo, Heroes Return, che chiude la nuova numerazione al #13 e riparte da un altro # 1, e che riporta gli eroi classici nel “giusto” universo, viene affidato a Scott Lobdell per i testi e ad Alan Davis per testi e disegni.
Gestione brevissima, che neanche fa in tempo ad ingranare, perché col # 6 arriva nientepopodimeno che Chris Claremont, scrittore britannico dalle suggestioni scespiriane il cui tratto distintivo è la costruzione di un intreccio narrativo fondato su numerose trame che si intersecano grazie ad una cura maniacale di ogni personaggio, anche (soprattutto?) quelli secondari.
Classico o Moderno?
Il nuovo rilancio dura tre anni, e Chris Claremont riesce ad intessere trame interessanti ma soprattutto senza dimenticare l’essenza del quartetto. Anche grazie alle splendide matite di Salvador Larroca, la bravura riconosciuta allo scrittore è quella dell’approfondimento dei personaggi: qua non è da meno, inserendo due nuovi e fondamentali personaggi all’interno delle dinamiche famigliari, ovvero Valeria Richards e Alissa Moy.
La prima, tecnicamente, nasce nella run di Byrne, quando però Susan ha un aborto: Claremont invece ripesca il personaggio facendola venire da un futuro in cui la Donna Invisibile l’ha concepita addirittura con Destino! Il personaggio quindi entra in scena già grande portando scompiglio, ma con una serie di -complicati e inutili da raccontare- meccanismi ritorna più piccola, mentre suo padre è sempre Reed, restando invece Victor Von Doom una figura a cui lei resterà sempre molto legata.
Alissa Moy, ex fiamma di Red, invece scomparirà per un po’, dopo l’abbandono di Chris, per tornare in futuro.
Dopo Claremont, arriva sulla testata Mark Waid: saranno i disegni splendidi di Mike Wieringo, anche lui porta la modernità che basta, anche lui si tiene ancorato a certi canoni classici, come a confermare che l’essenza dei Fantastici Quattro è restare in equilibro tra classico e moderno.
Con Waid si arriva proprio qui: apprezzatissimo dai fan perché riesce a bilanciare vecchio e nuovo, classico e moderno, ridando freschezza ai personaggi con un continuo rimando alla mitologia della Silver Age.
Dopo di lui, arrivano prima Straczinski e poi McDuffie, due autori bravi (più il primo) che però non riescono ad avere un feeling con i personaggi, smorzando la passione delle storie: che invece si riaccende al massimo quando nel numero 554 arriva la superstarMark Millar, con i disegni del talentuosissimo Brian Hitch.
Millar riporta in scena nuovamente Destino, donandogli un lirismo unico insieme ad una potenza narrativa incredibile, e torna anche Alissa Moy: la run dello scrittore britannico è divisa in due macrotrame, I Più Grandi Del Mondo con un intreccio geniale che sembra pazzesco a raccontarlo, ma alla fine quadra alla perfezione; e Il Maestro Di Destino, scontro inquietante e definitivo tra Victor e Reed. Millar gestisce egregiamente i viaggi nel tempo, basilari per ogni avventura del team che si rispetti, unendolo a concetti di fisica quantistica e progettazioni sci-fi che in altre mani sarebbero risultate ridicole e inconsistenti, con uno sguardo ai personaggi che è quanto di più sincero, sentito, umano e appassionato possa essere mai stato fatto su FF.
Resta da vedere ancora oggi perché in tanti si siano accaniti su questa run, probabilmente una delle migliori subito dopo Stan Lee e John Byrne, e di certo una di quelle che ha saputo dare un’occhiata ai personaggi personalissima eppure mai in contrasto con la loro storia, moderna a coraggiosa, al pari di tanta roba fantascientifica più blasonata.
Osservando i cicli della testata dei Fantastici Quattro, salta all’occhio come per ogni decennio ci sia stato un grandissimo autore che abbia saputo declinare modernità e classicità, storie cosmiche e dinamiche famigliari, secondo i tempi: Stan Lee negli anni Sessanta, Byrne negli anni Ottanta, Chris Claremont nei Novanta, Mark Millar negli anni Zero.
Certo, come si è visto quello delle storie degli FQ è un equilibrio precario e difficile da mantenere (e infatti, tra i nomi di sopra ci sono sempre stati scrittori poco adatti che non hanno catturato lo spirito giusto), ma quando l’autore dimostra di aver capito come prendere i personaggi, non ce n’è per nessuno: nel 2009, all’alba del nuovo decennio, arriva un altro fuoriclasse infatti, per una serie di numeri che resterà nella storia quanto quelli di Byrne: e il suo nome è Jonathan Hickman.
Reinventare un eroe: la strada per la fine
Chi bazzica il mondo del fumetto, sa che la firma di Hickman è sinonimo di storie enormi, bigger than life, sia nella narrazione che soprattutto nella concezione: il world building è una delle sue armi più affilate, e non è un caso se ogni volta che abbia messo mano su una testata l’abbia completamene rivoluzionata, anche nel pieno rispetto dei canoni della Marvel (perché probabilmente è insito nella mission narrativa ed editoriale della Marvel la volontà di andare sempre oltre): con i suoi 24 numeri e le tre stagioni di Ultimates (in coppia con le matite di Hitch) ha letteralmente distrutto un mondo con un concentrato di politica e filosofia; i suoi 44 numeri di Avengers (disegnati da Jerome Opena e altri) e i 30 di New Avengers (con illustrazioni di Mike Deodato e altri) mostrano la sua capacità di tessere trame complesse e ad ampissimo respiro; con Secret Wars (con i dipinti di Esad Ribic) addirittura distrugge un universo letterario e ne forgia uno nuovo di zecca.
Insomma, niente di banale ci si poteva aspettare da Hickman sugli FQ, e nessuno è rimasto deluso: Fantastic Four #571/611, uniti a FF #1/23, sono una lunga storia monumentale, lirica e totemica. Tutto fondato su una mitologia fuori scala e un nucleo intimamente familiare a fare da contrappeso. La caratteristica più sorprendente di questo ciclo è poi che inizia lentamente, quasi in sordina, con ritmo e grandi idee ma niente di più; ma pian piano cresce, finchè il lettore non si rende conto che è finito dentro qualcosa più grande di lui.
Ogni singola vignetta ha un suo ruolo preciso nell’economia della narrazione, che è grandiosa, intelligente, stimolante, complessa, tra civiltà sepolte, paradossi, dimensioni parallele, apocalissi, umorismo e dramma, perché ogni personaggio ha una profondità umana cesellata con amore palpabile. Tutto su scala enorme.
C’è anche posto per una “morte eccellente”, quella di Johnny Storm, che pure se chiaramente momentanea ha i suoi momenti di tragedia; e per l’eterno Dottor Destino, in un triangolo con Reed e Valeria che mostra i lati oscuri della paternità, perché in fondo è tutta la prima parte della run di Hickman a vertere sul concetto di paternità, sulla famiglia e sul peso delle proprie scelte all’interno dell’istituzione, cesellando tutti i personaggi con una profondità umana colma di amore.
Per il fisiologico andamento sinusoide della narrativa seriale, ad ogni up deve corrispondere un down, quindi dopo il totem Hickman arrivano Matt Fraction e James Robinson, fino al numero 655 che “chiude” la serie dei Fantastici Quattro: il gruppo resterà per un po’ in panchina.
E i Fantastici Quattro, oggi?
Gli ultimi cicli del mensile non hanno brillato particolarmente.
Dan Slott, autore del rilancio del 2018, parte con lo sprint: alle matite, il segno delicato e meraviglioso di Sara Pichelli, e le trame spargono qualche mistero qua e là compreso l’ingresso di due nuovi, interessantissimi personaggi: Victoriosa, sposa promessa di Von Doom, e l’enigmatica, potentissima Funerea. Il primo anno tiene altissima la qualità, che poi inizia ad altalenare: tra momenti avvincenti (il matrimonio di Destino con colpo di scena finale) a sequenze più moscette, fino ad una conclusione che ha una storyline ottima, la Reckoning War, che però è la classica montagna che partorisce un topolino.
Subito dopo arriva Ryan North, con il nuovo rilancio -la settima serie-: saranno le matite di IbanCoello e poi Ivan Fiorello, ma tutto suona un po’ a rilento.
North è un autore validissimo, e lo dimostra con il crossover Un Mondo Sotto Destino, che lanca proprio sulla testata del quartetto nel numero 28 (729 della numerazione classica), ma sul quartetto non ha ancora espresso niente di memorabile.
Secondo lo schema ricreato sopra, Hickman negli anni Dieci è stato l’ultimo grande autore -uno per decennio- a lasciare il segno: ne consegue che abbiamo ancora cinque anni di tempo perché un big arrivi a lanciare i Fantastici Quattro di nuovo nell’empireo.