Parlano Danny e Michael Philippou, registi di Bring Her Back
Seguiteci sempre su LaScimmiaPensa e iscrivetevi al nostro canale WhatsApp
Dopo il grande successo di Talk to Me, i fratelli registi Danny e Michael Philippou tornano con un nuovo film horror intitolato Bring Her Back, prodotto da A24 (qui la nostra recensione). La pellicola, presentata in anteprima a New York con una sessione di domande e risposte trasmessa in diretta anche a Los Angeles, affronta temi profondi come il dolore, la resurrezione e la possessione. Durante l’incontro con il pubblico, i registi hanno rivelato che la storia è stata profondamente influenzata da eventi tragici accaduti nella loro vita personale.
Nel film, due bambini in affidamento — uno dei quali ipovedente — vengono affidati a una nuova e discutibile tutela, sotto l’occhio vigile di una madre che ha appena subito una perdita devastante. Il cast include Sally Hawkins, Bill Barratt, Sora Wong, Jonah Wren Phillips e altri.
Durante l’evento, Danny Philippou, regista di Bring her back ha parlato apertamente delle ispirazioni drammatiche dietro la sceneggiatura di Bring Her Back:
Quando sviluppi o scrivi qualcosa, tutto ciò che stai vivendo in quel momento finisce inevitabilmente per entrare nel materiale. È come se fosse intrinseco, inevitabile. E hai ragione: ogni volta che incontriamo un ostacolo durante un progetto, ci spostiamo subito su qualcos’altro. Cerchiamo sempre di evitare lunghi blocchi creativi.
In quel periodo, nella nostra famiglia c’era un forte dolore. Abbiamo vissuto una perdita importante, una vera tragedia. E sì, tutto questo ha finito per emergere nel film, inevitabilmente.
Il regista di Bring her back ha raccontato con emozione la morte del figlio di due anni di una loro cugina:
Ho raccontato questa storia solo una volta. È davvero difficile da condividere. Nostra cugina ha perso il suo bambino di due anni. Eravamo in ospedale con lei, tutta la famiglia era riunita attorno al letto. Lui era lì, sdraiato, e lo stringevano da ogni parte: mani, piedi, testa. Mia cugina è stata l’ultima a lasciarlo andare. Sembrava che non si sarebbe mai ripresa da quel dolore
Quell’esperienza mi ha lasciato un’enorme ansia. È stato straziante. L’idea che un dolore simile possa creare un ciclo da cui non si esce, che possa consumarti al punto da non riuscire più a lasciar andare… è da lì che è nata una delle idee centrali del film
Il regista di Bring her back ha poi sottolineato come l’horror sia per loro un mezzo potentissimo per elaborare esperienze ed emozioni profonde:
Per me, il genere horror è il modo migliore per esprimere tutto quello che attraversi dentro: i pensieri, le emozioni, le ferite. Guardare il dolore attraverso la lente dell’orrore ti permette di affrontarlo, di analizzarlo. È un tema su cui torno spesso: il dolore può divorarti, e il personaggio di Laura ha la possibilità di guarire quella ferita, ma sceglie invece di soccombere, di lasciarsi travolgere.
Girare questo film è stato catartico. Proprio durante la lavorazione abbiamo perso anche un caro amico di famiglia. Non c’era più uno spazio dove elaborare tutto questo dolore, e così il film è diventato quel luogo. È diventato un contenitore per quelle emozioni. Abbiamo avuto la fortuna di poterlo condividere in modo molto aperto, anche con i nostri produttori.
Questo ha cambiato la sceneggiatura. Alcune scene, pensate inizialmente solo per spaventare o disturbare, sono diventate molto più espressive, cariche di significato. Abbiamo cercato di girarle in ordine cronologico, per dare un senso di evoluzione reale, come quella scena nella rimessa della piscina…
L’horror è un linguaggio espressivo potentissimo. Spesso attingi a ciò che ti ha turbato da piccolo. Ripensi a persone strane, a momenti strani. Qualsiasi cosa che ti abbia messo a disagio può diventare materiale creativo. Anche solo l’idea del metallo che struscia contro i denti… tutto può essere trasformato in scrittura.
Che ne pensate? Avete visto Bring Her Back?