Negli ultimi giorni, la Digos — su mandato dell’autorità giudiziaria — ha fatto irruzione nell’abitazione di Gabriele Rubini, meglio conosciuto come Chef Rubio, noto per le sue posizioni politiche radicali e per il suo impegno in ambito attivista pro-Palestina, avviando una perquisizione approfondita volta al sequestro dei suoi dispositivi digitali. L’operazione si colloca all’interno di un’indagine per propaganda e incitamento alla violenza motivata da discriminazioni razziali, etniche e religiose, in base all’articolo 604 bis del codice penale.
Al centro della controversia vi sono due post pubblicati da Chef Rubio sul suo profilo X (ex Twitter), in concomitanza con l’attacco avvenuto lo scorso maggio davanti al Capitol Jewish Museum di Washington. Nell’attentato hanno perso la vita due membri dello staff dell’ambasciata israeliana: Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim.
Secondo quanto riportato da la Repubblica, il primo messaggio incriminato risale al 21 maggio, poche ore prima della tragedia, e afferma:
Morte ai diplomatici complici del genocidio in atto da 77 anni, morte agli invasori e a chi li finanzia, morte al colonialismo, suprematismo, razzismo e odio antimusulmano. Morte quindi al sionismo e alla colonia ebraica. Lunga vita alla Palestina e ai nativi semiti palestinesi.
Il giorno successivo, Chef Rubio ha pubblicato un secondo post, corredato dalle immagini delle due vittime, accompagnato da queste parole:
Che differenza c’è tra un impiegato dell’ambasciata della colonia ebraica e un soldato suprematista ebraico che massacra i palestinesi per il loro solo esistere e resistere? Che uno esegue gli omicidi (Eichmann) e l’altro fornisce legittimità e mezzi per farlo impunemente
In seguito alla perquisizione, gli agenti dell’antiterrorismo hanno sequestrato tutti i dispositivi elettronici in possesso di Chef Rubio, incluse le chiavette USB e altri strumenti di archiviazione digitale. L’obiettivo — secondo fonti investigative — è quello di accedere a eventuali contenuti rilevanti per l’inchiesta, sia pubblici che privati, inclusi messaggi scambiati su Telegram e Signal.
Dopo il sequestro, Rubini è stato condotto presso il commissariato di Frascati, dove è stato sottoposto a interrogatorio. Il procedimento è ancora in fase istruttoria.
A rendere nota la vicenda è stato l’attivista Alberto Fazolo, giornalista ed ex combattente in Donbass, che ha diffuso pubblicamente parte della denuncia contro Rubini. Fazolo ha anche spiegato che l’ex chef si trova attualmente impossibilitato ad accedere ai suoi account social, alle chat personali e al proprio cloud, finché non verrà disposto il dissequestro dei materiali informatici.
L’obiettivo dell’operazione era acquisire informazioni sulle sue attività telematiche, contestandogli due post sul proprio profilo X, nonché cercare all’interno delle sue chat private di Telegram e Signal – ha dichiarato Fazolo.