L’Arca: la nostra Intervista con il regista Giorgio Caporali

Ecco la nostra intervista a Giorgio Caporali, regista del nuovo film indipendente L'Arca

l'arca, Giorgio Caporali
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A cura di Marta Zoe Poretti

Abbiamo fatto due chiacchiere con Giorgio Caporali, regista de L’Arca

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Dal prossimo 21 luglio al cinema c’è un film indipendente che vi consigliamo veramente di non perdere. Dopo diversi cortometraggi e una pioggia di premi nei più disparati festival italiani, passa infatti al suo primo lungometraggio Giorgio Caporali: giovane filmmaker romano che ci ha stupito con un’opera prima che si distingue per intensità, cuore, passione ma anche per la spiccata padronanza del mezzo cinematografico. L’Arca è la storia di Ryan (Malich Cissé), sedicenne immigrato clandestino che nel nostro paese non ha mai trovato la fantomatica “vita migliore”, e ora vorrebbe solo intraprendere il viaggio a ritroso, per tornare alla sua Africa e la sua famiglia.

Al suo fianco nell’impresa apparentemente folle di sistemare una vecchia imbarcazione, tanto malmessa che non ha neanche il timone, ci sarà Martin (Francesco Venerando): giovane devoto a Kerouac e al cinema d’avanguardia, ma soprattutto alla bellezza selvaggia della libertà assoluta, radicale e senza compromessi. E a loro si aggiungerà inaspettatamente anche Beatrice (Sabrina Martina), vecchia compagna di scuola di Martin che grazie a questo nuovo terzetto di veri amici sembra riscoprire sè stessa, per poi mettere così in discussione un futuro che sembra già scritto, tracciato come proiezione dei desideri e le aspettative di suo padre.

Noi abbiamo incontrato Giorgio Caporali per parlare della genesi de L’Arca, gli aneddoti dal set, i suoi sogni e le ragioni profonde che l’hanno spinto a portare sul grande schermo questo racconto di formazione e liberazione. Ed ecco come ci racconta il film in uscita il prossimo lunedì nelle sale di Circuito Cinema.

Com’è stato per te come giovane autore fare il grande salto, dai corti al tuo primo lungometraggio?

Giorgio Caporali: “Come dice Martin Scorsese fare un film è un’impresa monumentale, e non te ne rendi conto finché non ti ci ritrovi dentro, ma a quel punto è troppo tardi. In effetti è così. Con i cortometraggi hai da gestire una quindicina di persone, un minutaggio molto ridotto, mentre in questa che è una produzione indipendente io ero l’unico responsabile di me stesso.

Quando si parla di un film parliamo di sessanta, settanta persone da gestire, tante pressioni addosso, e in questo caso io ero anche il più giovane di tutta la troupe, quindi non era semplice neanche da questo punto di vista. Però ho avuto una squadra incredibile. Quella de L’Arca è una ciurma che mi ha seguito veramente in tutto, e questo mi ha facilitato tanto il lavoro”.

Qual è il tuo film preferito? C’è stato un momento particolare nella tua vita, un’opera che ti ha fatto pensare: nella vita vorrei fare cinema?

“Come avrai capito Martin Scorsese è il mio idolo, il regista a cui mi ispiro. Però il film che mi ha fatto dire voglio fare questo nella vita non è suo, ma di Sergio Leone, ed è C’era una volta in America. Si dice il cinema sia la Settima Arte, quella che racchiude un po’ tutte, e C’era una volta in America per me è l’opera d’arte per eccellenza, quella che mi ha fatto provare ogni sentimento umano: l’amore, la tristezza, la nostalgia, la rabbia, qualsiasi cosa. E quindi quando lo vidi la prima volta rimasi completamente affascinato ed dissi: voglio fare questo”.

Ne L’arca tu hai tre protagonisti eccezionali: Francesco Venerando, Malik Cissé e Sabrina Martina. C’è una aneddoto dal set durante le riprese con loro che per te rappresenta qualcosa di indimenticabile?

“Non potrò mai dimenticare l’ultima scena che abbiamo girato. Eravamo al porto, su una banchina e Martin, che è Francesco Venerando, indossava una maschera da papero con le sigarette infilate da tutte le parti. Era notte, e tra questa maschera in faccia e il fumo non riusciva a vedere nulla. Prima di iniziare vado da loro gli dico: ragazzi, godetevela perché questa è l’ultima scena che gireremo. C’era la produzione che già che mi diceva: Giorgio, dobbiamo finire.

Quindi io gli dico: tranquilli ragazzi, andate e godetevela. Loro partono ma Francesco non vedeva niente, quindi inciampa, casca a faccia avanti e si fa malissimo. Però è stato bravissimo, perché invece di fermarsi e farsi curare, perché si era anche fatto male a un ginocchio, si è rialzato ridendo e ha continuato. Gli altri due ragazzi sono stati fantastici ad assecondarlo, l’hanno tirato su e hanno proseguito. Ovviamente è questa la scena che abbiamo montato nel film”.

Una cosa importantissima da dire su L’Arca credo sia che come spettatori, entriamo aspettandoci un film e poi invece ce ne troviamo davanti a un altro. Ovviamente non faremo spoiler e non riveleremo quale sia il grande plot-twist centrale, però una cosa te la posso chiedere. Possiamo considerare questo non come un film da un solo protagonista, ma un racconto corale con tre protagonisti, tutti e tre ugualmente importanti?

“Assolutamente sì. Diciamo che è un viaggio verso la libertà. E come ogni viaggio che si rispetti ha tanti imprevisti, tanti cambi di direzione. Uno parte con un obiettivo e poi si trova da tutt’altra parte. Vuole andare nelle Indie e poi si ritrova in America. Quindi diciamo che L’Arca è un po’ anche questo. Come hai detto è un film corale, dove abbiamo tre protagonisti ugualmente importanti. Questo perché è un film sull’amicizia.

Ad esempio c’è un libro, dove ho trovato questo dialogo che mi ha ispirato tantissimo. Uno dei due protagonisti chiede all’altro: cos’è che preferisci, il viaggio o la meta? E lui rispondeva: la compagnia. Questo perché io credo,come si dice in un altro film che amo, Into The Wild, che la felicità non è reale se non è condivisa. E questo penso valga anche per la vita. Perché che cos’è la vita se non un viaggio?”

A proposito, io ti chiedo di autorizzarmi nella recensione che uscirà su La Scimmia Pensa di definire questo come un film d’amore. Nel senso, sappiamo che nella lingua e nella cultura angloamericana non c’è la distinzione che facciamo noi tra Amore e Affetto. C’è una parola sola che è Love. Da questo punto di vista, L’Arca si può dire a tutti gli effetti un film d’amore?

“Questa cosa che dici mi fa sorridere perché c’è una scena, tagliata nel montaggio finale, dove Martin fa notare agli altri due ragazzi esattamente questa cosa. Dice che in inglese non esiste la distinzione tra ti voglio bene e ti amo. Si dice I Love You. Questo racchiude un po’ il senso del film. Perché come dici tu è un film sull’amore, ma l’amore a 360 gradi. L’amore inteso come quello verso i genitori, inteso verso gli amici, verso l’altro partner ma anche l’amore per un sogno, e soprattutto l’amore per la vita”.

Altra cosa importantissima da dire è che c’è tanta verità nel tuo film. La sensazione non dell’artificio drammaturgico ma della vita vissuta. Ci sono degli elementi autobiografici, cose che sono successe, persone reali che ti hanno ispirato nella creazione di questi tre personaggi?

“Credo sia imprescindibile prendere ispirazione dalla vita, quando si vuole raccontare qualcosa. Penso venga anche naturale che uno racconti quello che ha vissuto. Quindi assolutamente sì. Questo è un film ispirato principalmente a due storie vere, una delle quali è la storia di un mio caro amico. Gli è accaduta una cosa e io mi sono domandato come avrei reagito al suo posto. Da qui è nato il personaggio di Martin, questa sorta di Jack Sparrow moderno, essendo personaggio un po’ sui generis.

Ma in realtà la radice dalla quale scaturisce tutta questa storia, era la nostra guida turistica quando ho fatto un viaggio in Tanzania. Un ragazzo che parla perfettamente italiano. Io gli ho chiesto come mai parlasse così bene la nostra lingua e lui mi disse: perché io sono cresciuto con il sogno dell’Europa, un mondo migliore, dove si fanno i soldi e si vive meglio.

Quindi ho detto: fammi andare a scoprire questo mondo. Venne in Italia e si ritrovò in mezzo al traffico, per strada a vendere i calzini. Quindi è tornato indietro. Perché mi disse: guarda, qui posso passare le mie giornate in spiaggia con gli amici, l’altra metà a portare in giro i turisti come te, a pescare in questo paradiso. Chi me lo fa fare di tornare lì?

Quando sono tornato e mi sono guardato intorno e vedevo questi ragazzi ai semafori a lavare i vetri, ma ho pensato anche me stesso, alla mia vita, quella dei miei amici e mi sono detto: non è che forse ci stiamo tutti creando nozioni di qualcosa che in realtà non esiste?  Tutti a pensare sempre alla casa più grande, la macchina più bella, tutto sempre di più.

E in realtà penso che se ci fermassimo tutti anche solo per un secondo, e ci guardassimo intorno, magari ci renderemmo conto che siamo felici e neanche lo sappiamo. Perché magari sono proprio le piccole cose che abbiamo quelle giuste. Così come il film: le amicizie, i genitori, il sogno da inseguire, queste forse sono le cose davvero importanti”.

Parliamo del personaggio e Beatrice? A me personalmente è piaciuto tantissimo. C’è una forte domanda di personaggi femminili nuovi, più contemporanei, in particolare nel cinema italiano, e credo che lei rappresenti proprio questa tipologia di personaggio. Magari ha dei problemi meno gravi rispetto ai suoi due amici, però loro la rispettano molto, e tutti e tre imparano moltissimo l’uno dall’altra. Come l’hai immaginata?

“Beatrice per me è un personaggio fondamentale perché rapppresenta lo spettatore all’interno del film. Come noi quando entriamo in sala ci troviamo di fronte alla storia di questi due folli – a volte sono dei personaggi quasi surreali, come dicevo prima Martin, un Jack Sparrow moderno e Rayan, un ragazzo di sedici anni, clandestino in Italia, senza documenti, che vuole fare il viaggio opposto rispetto a quello che lui stesso ha già fatto, cioé tornare a casa sua in Africa – lei si trova all’inizio spaesata ma anche attratta da loro due.

Come dicevamo prima c’è tanto di autobiografico in questa storia. Perché anch’io come lei, ad un certo punto della mia vita in cui mi sono domandato cos’è che volevo veramente fare. Se era giusto seguire la strada che segue la maggior parte delle persone, quindi percorso di studi, università, lavoro, posto fisso, oppure se era l’ora di inseguire veramente il mio sogno e fare di tutto per realizzarlo. Quindi in Beatrice c’è tutto questo mio aspetto.”

Un altro aspetto che è molto coinvolgente sono le canzoni. Credo abbiano un po’ una funzione narrativa in molti passaggi del film. Sono canzoni originali che avete scritto insieme?

“Assolutamente sì, ogni musica, ogni canzone è originale ed è stata scritta per il film. Questo perché ci tenevo tantissimo che, come opera prima, fosse un’opera fatta interamente da persone molto giovani. Tutti, anche il compositore, hannotra venti e ventisei anni. Io ho dato la sceneggiatura a Stefano Petrone che è uno dei compositori delle canzoni, a Massimo Macera, a Numa, Fabrizio Belli, David Cerquetti e anche a Bianca Marcelli, e loro leggendo la sceneggiatura hanno tirato fuori queste canzoni anche in modo indipendente da me.

Io gli ho dato la storia e ho detto: voi trasformatela in canzoni, ditemi cosa vi trasmette. E queste canzoni per me sono parte della sceneggiatura, tanto che ci sono delle sequenze solo musicate, perché penso che la loro voce parli al posto della mia”.

Quando hai fatto i provini c’è stato un momento in cui hai capito: ok, queste sono le persone giuste?

“Ho fatto tantissimi provini! Ryan è stato il primo che ho scelto, perché in realtà lo avevo già visto Malich Cissé al cinema, nel film di Paolo Virzì, Siccità. Quando lo vidi all’epoca L’Arca non era ancora un film, doveva essere un cortometraggio. Mi dissi: io voglio questo ragazzo. Perché con una scena veramente piccola è riuscito a trasmettermi tantissimo.

Ed è riuscito a trasmettermi esattamente quello che io volevo trasmettere con il personaggio di Ryan. Per il personaggio di Martin ho fatto tantissimi provini. Francesco Venerando, l’attore che ho scelto per interpretarlo lo conoscevo già molto bene, perché con lui avevo fatto anche il mio ultimo cortometraggio. Dopo tanti provini, anche con dei nomi un po’ più noti, quando alla fine ho chiamato Francesco  anche il produttore mi ha detto: okay, non ci sono dubbi, è lui il nostro Martin.

Anche Sabrina Martina è stata eccezionale. È arrivata veramente in corsa, all’ultimo momento. Inizialmente c’era un’altra attrice per questo ruolo, ma lei è riuscita allinearsi in brevissimo tempo con gli altri due ragazzi. Sono felicissimo di questo, perché penso che sia andato tutto come doveva andare”.

L’Arca di Giorgio Caporali vi aspetta da lunedì 21 luglio 2025 al cinema. Non perdetelo!