Nel corso dei secoli, l’umanità ha dimostrato una spaventosa creatività nel concepire strumenti e metodi di tortura per infliggere dolore. Alcuni di questi mezzi sono diventati tristemente noti per la loro brutalità: dal toro di bronzo dell’antica Grecia, in cui le vittime venivano arse vive, fino a elaborati procedimenti che coinvolgevano barche, miele e insetti, la storia è costellata di esempi inquietanti di sofferenza inflitta con meticolosa crudeltà.
Tra tutte queste pratiche, una delle più semplici si è rivelata anche tra le più devastanti dal punto di vista psicologico: la tortura dell’acqua, spesso erroneamente definita tortura cinese dell’acqua. In realtà, questo metodo non ha origini cinesi: il primo riferimento documentato risale a un italiano, Ippolito Marsilio, vissuto tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.
Secondo la descrizione di Marsilio, le vittime venivano immobilizzate sotto una fonte d’acqua che lasciava cadere gocce lentamente, una alla volta, sempre nello stesso punto della testa. All’inizio l’effetto era solo fastidioso, ma con il passare del tempo il gocciolamento ripetuto portava a dolori intensi e, in molti casi, a un vero e proprio crollo mentale. Il fatto che la vittima potesse vedere la goccia in arrivo aggiungeva un livello di anticipazione ansiogena che aumentava il disagio psicologico.
Uno studio condotto dal team della trasmissione MythBusters ha dimostrato che il metodo ha effetti limitati su soggetti rilassati e non immobilizzati, ma può essere estremamente destabilizzante quando applicato in condizioni di costrizione e stress psicologico. Dopo la messa in onda dell’esperimento, i conduttori ricevettero la segnalazione di un ulteriore elemento disturbante: la randomizzazione delle gocce rende la tortura ancora più efficace. Il fatto di non sapere quando cadrà la prossima goccia induce infatti un senso di terrore che amplifica l’effetto psicologico.
Un uomo, dopo aver notato una perdita nel proprio lavandino, ha deciso di testare su sé stesso l’effetto della tortura dell’acqua, documentando l’esperimento con una videocamera. Dopo circa mezz’ora ha riferito di aver iniziato a provare sintomi di claustrofobia e un’ansia crescente causata dal suono e dall’impatto delle gocce, al punto da non riuscire a calmarsi. Dopo meno di due ore ha interrotto il test, cosa che, ovviamente, le vere vittime storiche di questa pratica non potevano fare.
Nel 2012, l’artista australiana Lottie Consalvo si è sottoposta volontariamente alla tortura dell’acqua per sette ore consecutive, nell’ambito di una performance artistica. Ha raccontato la sua esperienza in modo estremamente toccante:
Ho attraversato fasi di totale sconforto e poi sono arrivata in questo posto, in questo posto meraviglioso. A un certo punto le gocce mi entravano in testa, erano molto fredde, poi mi cadevano nell’occhio, si scaldavano e poi gocciolavano lungo il mio viso come una lacrima, e mi sembrava di piangere – ha raccontato a SBS.