Parliamo del finale di 28 anni dopo
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Il film 28 Anni dopo (qui la nostra recensione) di Danny Boyle e Alex Garland, atteso sequel della saga cominciata nel 2002 con 28 giorni dopo, si rivela un’opera densa di simbolismo e metafore, con evidenti riferimenti alla realtà britannica post-Brexit e post-Covid. L’horror sugli infetti non è solo un racconto di sopravvivenza, ma una potente riflessione sul populismo, sulla nostalgia distorta del passato e sulla mascolinità tossica. Garland e Boyle intrecciano tematiche sociali e culturali in un contesto narrativo cupo e apocalittico, confermando la loro capacità di usare il genere per veicolare significati più profondi e provocatori.
Uno dei temi centrali di 28 Anni dopo è la distorsione della memoria collettiva, particolarmente evidente nella scena in cui Jamie (Aaron Taylor-Johnson) racconta pubblicamente l’avventura del figlio Spike nella terraferma. Mentre il padre mitizza l’episodio come un atto eroico, Spike lo corregge, rivelando che la realtà è stata molto meno gloriosa. Questo momento denuncia la tendenza umana a riscrivere il passato per adattarlo a narrazioni più rassicuranti, un meccanismo che Garland collega direttamente alla mitizzazione della storia britannica.
Il riferimento più controverso e disturbante arriva nella scena finale del film, in cui Spike viene salvato da un gruppo guidato da Sir Lord Jimmy Crystal (Jack O’Connell). I membri della sua setta sono vestiti come il defunto Sir Jimmy Savile: eccentrici gioielli, tute sgargianti, lunghi capelli biondi e armi improvvisate. Le loro azioni caricaturali culminano con un’esultanza corale in cui ripetono una variante del celebre slogan di Savile, “Che ne dici allora?”
Questa rappresentazione richiama non solo l’estetica, ma anche la figura pubblica di Savile prima dello scandalo: celebre conduttore televisivo, benefattore e membro rispettato dell’establishment britannico. Dopo la sua morte nel 2011, è emersa la verità: centinaia di denunce per abusi sessuali, che lo hanno reso uno dei più prolifici molestatori del Regno Unito. Nel mondo alternativo di 28 Anni dopo, però, la pandemia di Rabbia ha cancellato la memoria collettiva: Savile è ricordato solo come un eroe nazionale. Questa amnesia culturale è la metafora perfetta dell’illusoria nostalgia del passato.
Il racconto di formazione di Spike è un altro filo conduttore di 28 Anni dopo. A soli 12 anni viene condotto dal padre sulla terraferma per compiere la sua prima uccisione, un rito di passaggio precoce e brutale. Al ritorno, viene celebrato come uomo dalla comunità. Tuttavia, la scoperta della relazione del padre con un’altra donna e il suo rifiuto di portare la moglie malata (interpretata da Jodie Comer) dal medico, spingono Spike a intraprendere un viaggio clandestino per salvarla.
Garland qui mette in scena una mascolinità alternativa, empatica e protettiva, lontana dalla spavalderia maschilista. Spike, dopo aver incontrato un medico interpretato da Ralph Fiennes, scopre che la madre è malata terminale. La perdita dell’innocenza lo trasforma e lo spinge ad assumersi responsabilità adulte, incluso il prendersi cura di un neonato orfano. Dopo 28 giorni nella natura selvaggia, Spike incontra la setta guidata da Jimmy Crystal.
Sir Lord Jimmy Crystal, personaggio chiave, è figlio di un vicario e appare anche nel prologo ambientato nel 2002, quando il virus Rage raggiunge le Highlands scozzesi. Suo padre accoglie l’invasione di infetti come una vera apocalisse, consegnandogli un crocifisso prima di farsi infettare volontariamente.
Nel 2030, Jamie e Spike trovano una casa abbandonata con un uomo legato e infetto, con il nome “JIMMY” inciso sulla schiena. Sulle pareti è riportato il versetto Apocalisse 1:7: “Egli viene con le nuvole.” Jimmy Crystal ha chiaramente interpretato la pandemia come una rivelazione divina, trasformandosi in un falso messia. Indossa la croce del padre capovolta – simbolo del caos e del male – presentandosi come salvatore ma incarnando, in realtà, la figura demoniaca. Il suo look ispirato a Savile ne rafforza l’ambiguità morale: guida carismatica per i sopravvissuti, ma simbolo inquietante di una società che ha dimenticato i propri mostri reali.
In un’intervista con l’Independent, Danny Boyle ha dichiarato:
Il ruolo del personaggio di Jack O’Connell e della sua famiglia, che in realtà sostituisce la famiglia che perde all’inizio del film, è quello di reintrodurre il male in quello che è diventato un ambiente compassionevole. Ho chiesto ad Alex [Garland] fin dall’inizio di spiegarmi la natura di ciascuno dei film, e lui ha detto che la natura del primo film riguarda la famiglia. Il secondo film riguarda la natura del male. E ne incontrerete molti altri quando sarà più appropriato parlarne nel secondo film
È confermata anche la partecipazione di Cillian Murphy, che riprenderà il ruolo di Jim, protagonista di 28 giorni dopo. Il titolo del sequel, 28 Anni dopo: Il tempio delle ossa, suggerisce che Jim possa avere un legame con la setta di Jimmy. Tuttavia, essendo l’eroe che nel primo film si oppose agli abusi dei soldati, è possibile che si sia infiltrato nella loro comunità per smascherarne i crimini, o che ne sia stato bandito.
Con 28 Anni dopo, Garland e Boyle confermano la potenza del cinema horror come strumento di analisi sociale e critica culturale. Il film non solo amplia l’universo narrativo della saga, ma riflette sul modo in cui una nazione può dimenticare, giustificare o riscrivere i propri traumi per adattarli a una mitologia collettiva più rassicurante – ma profondamente distorta.
Che ne pensate?