Sinners – I Peccatori: Recensione dell’horror spirituale con Michael B. Jordan

Sinners
Condividi l'articolo

Sinners: il peccato, la musica, il sangue, una messa in scena quasi operistica per raccontare una parabola allegorica sulla cultura afroamericana come atto di resistenza

I peccatori – Sinners, il nuovo film del regista e sceneggiatore Ryan Coogler, uscirà il 17 aprile in tutti i cinema italiani dopo i successi di blockbuster come i film Marvel di Black Panther o il franchise di Creed. Ambientato nel Mississippi del 1932, il film segue le vicende di due fratelli gemelli, dei veterani di guerra e gangster di Chicago, che tornano nella loro città natale per cambiare vita e aprire un juke joint dedicato alla comunità nera.

Nel corso del tempo però, durante le notti di festa iniziano a succedere cose strane: quando il blues che suonano si intreccia ai loro peccati umani, si vengono a creare dei legami spirituali ultraterreni che fanno comparire dei perfidi vampiri.

“Il sangue non mente, ma canta. Perché non puoi suonare il blues se non sei pronto a morire due volte. Per questo noi non siamo peccatori, ma la nota che non si piega”. Queste alcune delle criptiche ma premonitorie affermazioni che svelano in pochi istanti tutta la linea fortemente simbolica della pellicola e come vengono magistralmente connessi i peccati dei protagonisti, la loro linea di sangue, il folklore e la musica black.

image 38

Un’opera stilistica audace, intrigante e specchio della contemporaneità di oggi. Coogler usa l’horror come metafora della segregazione razziale e della resistenza culturale, un contenitori per discutere in modo alternativo e fantasy del trauma, della memoria e della resistenza, per esplodere poi in un’opera multistrato che fonde ottimi dialoghi, una musica travolgente, stralci di politica e simbolismo.

Infatti qui tutto è simbolico: ogni scelta registica, ogni movimento, dialogo, personaggio, scenografia, costume o melodia.

Ovviamente la più eclatante si palesa subito, anche se non possiamo riconoscerla fino a quando non uniamo tutti i tasselli, ed è la simbologia del doppio dei gemelli protagonisti. Stack e Smoke, interpretati entrambi dal bravissimo Michael B. Jordan, sono la metafora di due risposte opposte alla violenza razziale: quella della condanna e vendetta attraverso la criminalità, e quella della sfida e redenzione tramite la cultura. Bene e male, giusto e sbagliato, due facce della stessa medaglia che si scontrano e allineano continuamente, non in modo morale, ma come reazione psicologica dei soprusi vissuti da parecchie generazioni afroamericane.

Il secondo simbolo è di conseguenza il sangue, quello biologico di fratellanza, quello culturale del blues come “sangue che scorre tra le generazioni” e infine quello mitologico sovrannaturale, il sangue che è fonte di potere e sopravvivenza per i vampiri.

Nel film vediamo infatti la figura del vampiro nel personaggio di Remmick, un essere di razza bianca che incarna metaforicamente lo storico colonizzatore occidentale. Nel film lui e i suoi simili non uccidono per nutrirsi, come siamo abituati a vedere nei prodotti sui vampiri, ma sono famelici della creatività degli afroamericani, che prosciugano per trasformare la loro arte nel proprio potere. È poi il famoso morso a suggellare l’appropriazione culturale e di conseguenza la cancellazione identitaria, in cui il corpo del malcapitato sopravvive ma la musica smette per sempre di essere viva.

image 34

Ma la vera chiave della storia è in realtà il blues. Nella pellicola non è solo un genere musicale, ma è trattato come un vero e proprio rito arcaico con potere sciamanico: ogni nota, riff di chitarra o frase cantata, non è solo musica, ma una preghiera laica. E infatti sarà proprio quella musica che farà da ponte tra il sacro e il profano, tra il mondo materiale e quello spirituale.

Motivo per cui è proprio il sound suonato da Sammie il cieco ad arriva ad attirare forze ultraterrene che nessuno comprende, a risvegliare i morti, a far piangere gli angeli e incatenare i demoni. Una musica che, quando arriva il momento propizio, sarà usata da Sammie per salvare e non per intrattenere, diventando un sacrificio consapevole per fermare i vampiri.

Il blues si trasforma pian piano in qualcosa di più, verso un mito moderno di forza viva, che resiste alla storia e riscrive persino la realtà attraverso il suono, perché il blues non può essere posseduto ma solo vissuto.

image 35

Oltre a ciò, la pellicola vuole anche trascrivere una mappa spirituale che incrocia pericolosamente religione e spiritualità ancestrale, Chiesa e Hoodoo. Una Chiesa coloniale protestante raffigurata come collusa e tiranna, che proprio negli anni ’30 ha svolto un ruolo chiave nell’oppressione e segregazione della comunità nera del Sud degli Stati Uniti. Dall’altra parte la spiritualità black degli spiriti della terra e degli antenati, vista come liberatrice e custode della memoria, che cerca di aiutare in tutti i modi i suoi “fratelli di sangue”.

Il regista sottolinea più volte questa contrapposizione, anche tramite la casa abbandonata che diventa poi il juke joint: ben presto scopriamo essere infatti un ex-chiesa battista, dunque un simbolo della religione bianca che si converte in un tempio di redenzione culturale nera.

Tutto questo per arrivare in realtà ad un unico punto focale: il peccato.

Non parliamo del peccato morale e individuale, bensì di un peccato collettivo e storico. I veri peccatori non sono i protagonisti, ma una società intera fondata sulla violenza e sull’appropriazione. Il film suggerisce che solo riconnettendosi alla propria linea spirituale i personaggi, come la società dell’epoca e di oggi, possono interrompere il ciclo del sangue, fatto di violenza, vendetta e assorbimento.

Aspetti tecnici

image 36

Passiamo ora alle parti tecniche di Sinners e il primo dettaglio da sottolineare è il fatto che il film è stato girato in pellicola 65mm e IMAX 70mm, una scelta stilistica davvero intrigante per un titolo così profondamente simbolico. Per enfatizzarne ancora di più l’autenticità, il regista sceglie di usare una fotografia molto precisa: palette cromatiche sul rosso per il desiderio e la violenza, sull’indaco per la spiritualità e la memoria, per finire con il giallo per la corruzione. Un gioco continuo di chiaroscuri viene usato anche durante le scene notturne nel casolare, un tocco estetico che fa l’occhiolino al cinema gotico degli anni ’30.

Il tutto va ad unirsi ad una scenografia e un uso azzeccato dei costumi, che ricostruiscono con estrema minuzia il periodo: le stoffe degli abiti, i legni delle case e del locale, le insegne sbiadite, tutto racconta la segregazione anche se non viene mostrata espressamente.

Un altro punto da elogiare è sicuramente la colonna sonora e non perché il blues è oggettivamente uno dei generi musicali più belli ed intensi che esista, ma per la perfetta fusione che è stata creata tra blues tradizionale, folk e sonorità tribali africane, con l’aggiunta di suoni elettronici e persino della trap contemporanea. Una sinergia eccentrica, forte e malinconica, che rende molto bene la potenza trascendentale della musica, nonché la similitudine dell’apertura dei cancelli tra i mondi, tra le creature o qualsiasi altra forma di peccato.

Non è infatti un caso che ad ogni personaggio e alla sua specifica colpa è stato legato un preciso tema musicale, ad esempio a Stack viene associata una melodia ossessiva e ripetitiva in tonalità minore, mentre al personaggio di Sammie vengono accostate tonalità che sfociano al jazz.

L’unica parte tecnica che può far arricciare il naso è effettivamente il ritmo narrativo del film. È sicuramente apprezzabile la giusta calibrazione durante tutta l’opera tra momenti lenti e contemplativi, come i sogni di Sammie o i racconti suggestivi di Mary, a sequenze di pura tensione visiva durante gli attacchi dei vampiri o nelle fughe nel bayou.

Il momento critico in sé giunge nel terzo atto della pellicola, quando la narrazione si fa meno coesa e inizia un’accelerazione repentina verso il finale, come a chiudere in fretta la storia. È davvero un peccato perché questa scelta narrativa trascura e tradisce un pò la profondità iniziale del film.

Allo stesso modo ci sono alcune parti non del tutto approfondite, che se avessero invece avuto il giusto spazio avrebbero arricchito ancora di più la sceneggiatura. Nello specifico parliamo di scene mancanti sul potere soprannaturale di Sammie, che viene evocato solo una volta per poi essere quasi del tutto abbandonato. Era invece un risvolto interessante e avrebbe meritato più accorgimenti per arricchire maggiormente la tesi di unione tra i peccati, le potenze sovrannaturali e la musica come tramite.

Performance e cast

image 37

Il vero punto focale del film è ovviamente Michael B. Jordan, interprete di ben due personaggi, Stack e Smoke. Ancora una volta l’attore ci conferma la sua bravura e capacità di immergersi in differenti ruoli d’azione, thriller, drammatici o fantasy. In Sinners ci regala sicuramente una performance inedita, in cui risulta credibile in entrambi i ruoli dei fratelli, senza mai apparire finto. Questo grazie ad una ben distinta presenza corporea (ambedue i gemelli hanno infatti una camminata e voce differente), un’ottima mimica facciale e gestualità, che va a sommarsi alla capacità di dimostrare una diversa vulnerabilità interiore dei due personaggi.

Dal canto suo Miles Caton sorprende parecchio nell’interpretare il giovane bluesman, cieco negli occhi ma veggente nell’anima. In modo pragmatico e quasi mistico, percepiamo sin da subito la potenzialità del personaggio e del suo dono artistico, facendoci immediatamente credere che l’attore sia nato per fare questo ruolo. Non è un caso che una delle scene più potenti del film sia proprio una delle sue, quando verso il finale Sammie mentre suona il pianoforte raggiunge il momento di massima fusione tra “sangue e suono”.

L’amatissimo Jack O’Connell invece, è assai credibile come vampiro razzista e carismatico. Ha infatti dichiarato di essersi ispirato a Klaus Kinski in Nosferatu (il remake di Werner Herzog) per incarnare in chiave oscura, predatoria ma anche nobile, l’appropriazione culturale sottolineata nel film, senza mai diventare la caricatura di sé stesso (minaccia plausibile quando si deve interpretare un personaggio sovrannaturale).

Infine possiamo definire due interpretazioni di degna nota quelle di Hailee Steinfeld e Wunmi Mosaku.

La prima è sicuramente lontana dai suoi precedenti ruoli mainstream, eppure possiamo comunque dire che questa inedita versione della Steinfeld è più che approvata. Riesce molto bene a dare vita ad una vedova che cela segreti occulti, che per tutto il film mantiene una costante carica di dolore trattenuta nello sguardo. Allo stesso tempo mostra tutta la sua bravura in una sfida attoriale fatta di scene fisiche e vocali particolarmente intense.

La seconda, la Mosaku, la vediamo come credibilissima sacerdotessa Hoodoo, in grado di portare la pellicola in una dimensione quasi teatrale, tra dialoghi in parte cantanti e in parte recitati, verso un’atmosfera cerimoniale che eleva le scene rituali a momenti da opera lirica.

Perché vi consigliamo di non perdere I peccatori – Sinners al cinema

image 39

Insomma Sinners utilizza simboli antichi per narrare in realtà un trauma più che moderno: potrebbe infatti essere quasi un’escamotage per svelare i grandi problemi del mondi di oggi, di come nel corso del tempo gli errori dell’umanità si siano ripetuti ancora e ancora.

Nel farlo però il regista cerca anche una soluzione, un antidoto al dolore e alla sofferenza, che ritrova nella musica. Si serve del blues per farlo diventare il mito fondante di una comunità sopravvissuta all’estinzione culturale, mentre i vampiri incarnano la minaccia dell’oblio e della trasformazione forzata.

Questo film è quindi un’esperienza originale, che mira a esorcizzare l’appropriazione culturale attraverso l’arte e a ritualizzarne il dolore collettivo per farne una bandiera di speranza.

E voi andrete a vederlo?

A cura di Monica Rovati Trombin

Seguiteci su LaScimmiaPensa e su WhatsApp