Muse – Will of the People | RECENSIONE

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Molti sono anche i momenti classicheggianti, con arpeggi di piano e cori, a tratti math rock e a tratti vagamente più interessanti ancora come in Liberation, che sembra una canzone degli Sparks. Manca però francamente il tempo stesso per interessarsi seriamente al disco e anche il programmatico finale “brutale”, We Are Fucking Fucked, poi tanto brutale non si dimostra.

Insomma, non sappiamo chi in questo momento nel mondo sia “fucking fucked”. Ma di certo non si tratta dei Muse, né di chi scrive o con ogni probabilità di chi legge questa recensione. Qui siamo ben distanti da un disco impegnato nel commentario sociale, come è quest’anno WE degli Arcade Fire. E anche da uno politicamente teso, come per esempio il classico American Idiot dei Green Day.

Dove siamo, allora? In un nuovo album di una band che superato il confine dell’ironia (Drones) e dell’auto-ironia (Simulation Theory), sembra sempre più non aver nulla di serio da dire. Infiliamoci anche melodie e progressioni di accordi, la maledizione che li perseguita, chiaramente sempre prevedibili e formulaici, e non rimane molto.

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Intendiamoci, chiaramente ci troviamo sempre di fronte ad un lavoro di professionisti. Arrangiamenti curati, una buona dose di tecnica e sia pure piccoli sprazzi di passaggi autenticamente interessanti. Ma sono ormai solo passaggi, appunto. E mentre i fan storici dei tempi di Absolution arrivati a questo punto hanno rinunciato ai Muse già da anni, che cosa rimane per gli altri?

La band ha forse bisogno di ritrovare la coerenza di un concept album o di un tema unitario attorno al quale costruire le proprie canzoni. Oppure, meglio ancora, di cercare nuove influenze, sperimentare con nuovi strumenti, fare featuring con altri artisti. Insomma, qualcosa. Perché se Will of the People è il commento dei Muse sui tempi che viviamo, a questo punto in quale senso va interpretato?

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