Yuasa Masaaki: 5 anime di un maestro visionario

Soffermandoci su 5 serie fondamentali, ripercorriamo brevemente la carriera di Yuasa Masaaki, innovatore indiscusso dell'animazione.

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Ping Pong the Animation (2014) – 11 episodi

Yuasa

Tsukimoto, detto ‘Smile’, e Hoshino, chiamato ‘Peko’, sin dall’infanzia condividono la passione per il ping-pong. Il primo vede tale sport come hobby, mentre il secondo ha l’animo più competitivo. Un giorno sbarca nella città teatro degli eventi un cinese, il cinico Wenge, pronto a tutto per farsi ammettere nella squadra nazionale in patria…

Smile, chiamato così ironicamente, soffoca le proprie emozioni e appare agli altri come un automa, tanto che da piccolo era vittima di bullismo e veniva emarginato. Sarà l’energico Peko a salvarlo, iniziandolo al ping-pong e riconoscendo in lui un grande talento.

Le grandi capacità di Smile devono però fare i conti con la sua eccessiva bontà: quando il ragazzo è in netto vantaggio, regala punti agli avversari per non surclassarli, arrivando a volte anche a perdere.

Il ping-pong è solo un espediente usato da Yuasa Masaaki per il suo studio antropologico, che trova pieno compimento nel torneo nazionale di ping-pong: al regista non interessa tanto lo svolgimento della partita, quanto il motivo che spinge ogni partecipante a iscriversi. Oltre a Peko e Smile, altri tre sono i personaggi significativi della storia: il già menzionato Wenge, Akuma e Kazama, detto “Dragon”.

Ognuno di loro è spinto da una causa diversa: Peko, sconfitto dal cinese, vuole riaffermare il suo primato nel ping-pong; Smile vuole semplicemente seguire i passi del suo salvatore e non deludere né lui né il coach; Wenge vuole allenarsi duramente per essere ammesso alla squadra nazionale della Cina; Akuma desidera ricucire le ferite nell’orgoglio inferte da Peko, che l’ha sempre battuto; Dragon, infine, deve vincere per il buon nome della propria famiglia, infangato dagli errori del padre.

Per quanto riguarda lo stile di Ping Pong, il disegno si avvicina molto a quello di Kemonozume, torna più abbozzato e squadrato rispetto a The Tatami Galaxy. Sono presenti interessanti note di regia, come una pallina da ping-pong che, spedita troppo in alto, introduce l’aereo con cui Wenge è giunto in Giappone.

Soprattutto durante le partite, sembra più di essere davanti a un manga che a un anime, come vedete nell’immagine appena sopra: le singole fasi di ogni movimento, unitamente a un montaggio concettuale, vengono scomposte e mostrate su un unico fotogramma. Non mancano spunti surreali, come un gigante Dragon che cerca di sancire la propria superiorità durante il torneo.

Ma l’elemento surreale-metaforico serve a Yuasa Masaaki soprattutto per veicolare il poliedrico concetto di eroe. Peko è considerato un eroe da Smile, ma in negativo anche da Akuma, perché l’impegno di quest’ultimo deriva solo dal desiderio di sconfiggerlo. Smile, a sua volta, diventerà un eroe per Wenge, perché riesce a dare una lezione alla sua arroganza. Ma l’anime offre anche una personificazione di eroe come essere alato in controluce, che nel momento del bisogno arriva sempre.

Devilman Crybaby (2018) – 10 episodi

Netflix

Akira Fudō è un liceale timido e impacciato, innamorato della bellissima atleta Miki Makimura. Durante l’ennesimo attacco da parte di un gruppo di bulli, il ragazzo viene salvato dall’amico Ryo Asuka. Dietro a quel gesto apparentemente altruista, però, si cela in realtà un’orribile motivazione: i demoni, i primi veri abitanti della Terra, vogliono riappropriarsi del pianeta e solo Akira può fermarli. Ma, per farlo, deve fondersi con il più spietato di loro…

Devilman Crybaby è il primo prodotto originale Netflix di Yuasa Masaaki. La storia è tratta da uno dei capolavori manga di tutti i tempi, Devilman (1972-73), scritto dal geniale Go Nagai, creatore anche di Goldrake e Mazinga. Potete leggere di più su Go Nagai nel nostro articolo La Divina Commedia di Go Nagai, un manga da leggere assolutamente.

La serie riprende la trama del manga nei punti salienti, ma se ne discosta, soprattutto per tre motivi: la storia non è più ambientata negli anni ‘70 ma ai giorni nostri, come sarà per Japan Sinks: 2020; il personaggio di Miki assume maggior spessore rispetto a quello del manga, in cui è una ragazza superficiale; l’originale Devilman è un’opera di finzione all’interno della serie: infatti un personaggio ascolta un remix della sigla dell’anime classico su YouTube, denotando metanarrazione.

Yuasa riadatta i disegni del manga alla modernità e al proprio stile essenziale, ammiccando alle precedenti opere da lui dirette. Se il mondo apocalittico strizza l’occhio a Kaiba, il design dei demoni ricorda l’eroe alato di Ping Pong e i mostri di Kemonozume.

Ma è anche evidente l’omaggio a Neon Genesis Evangelion (1995-96) di Anno Hideaki: le creature, la componente psicologica e le citazioni religiose ricordano molto gli angeli, gli Eva e, in generale, l’atmosfera di tale anime.

Se già Go Nagai elabora nel manga una cruda e disillusa riflessione sulla sua contemporaneità, profetizzando quella presente, Yuasa ne ha tratto le somme. L’elemento cardine di entrambe le opere è la contrapposizione tra bene e male: Akira, personaggio così sensibile da arrivare a piangere per il prossimo (“crybaby” significa “piagnone”), rappresenta il primo; Ryo, cinico e spietato, sempre sulla difensiva e pronto all’attacco, incarna il secondo.

La presenza dei demoni introduce due ambiti in cui la dicotomia prende piede: religione e umanità. La religione è richiamata spesso nelle opere di Yuasa: pensiamo alla balena di Mind Game o al dirigibile di The Tatami Galaxy. Il primo è un chiaro riferimento alla parabola di Giona, il secondo all’arca di Noè.

In Devilman Crybaby, Akira incarna la fusione tra uomo e entità sovrannaturale, nata per sconfiggere il nemico dell’umanità: Satana. Sussiste, però, un problema: quasi tutti gli umani dell’opera sono malvagi e corrotti, quindi chi è davvero il cattivo della storia?

Alcune scelte di regia enfatizzano il simbolismo che pervade l’opera. Yuasa Masaaki torna nell’ambito sportivo, ma si sposta dal ping-pong all’atletica. Possiamo vedere, sia nel presente che nei ricordi dei personaggi, alcune gare di staffetta, il cui passaggio è simbolo di amore, ma anche di ciclicità.

Inoltre, gli orecchini regalati da Miki ad Akira ribadiscono il loro legame, ma non solo: torneranno nel finale. Infine, la scena della riunione di famiglia in cui i personaggi si tramutano in statue evidenzia la solitudine del protagonista.

Commenta la storia un’incalzante colonna sonora prevalentemente synthwave, che alterna brani movimentati, nostalgici e malinconici. Particolarmente suggestiva è la traccia Crybaby, che conferisce ulteriore potenza emotiva all’inaspettato, simbolico e indimenticabile finale.