Cinema

I Predatori, Recensione del folgorante esordio di Pietro Castellitto

Condividi l'articolo

Pietro Castellitto torna su un carro trionfale da Venezia, con il premio alla migliore sceneggiatura nella sezione Orizzonti. E approda con I Predatori ad Alice nella città, sezione parallela e indipendente della Festa del Cinema di Roma.

Così, prima dell’uscita in sala prevista per il 22 ottobre, il giovane cineasta romano offre un altro assaggio del suo talento cristallino, esploso in un esordio memorabile.

Ed è curioso che in una stagione così anomala, il cinema italiano stia offrendo prove inconfutabili della sua capacità di svincolarsi, finalmente, dalle briglie di una tradizione ormai finita.

Mentre tutti aspettiamo intrepidamente il Diabolik dei Manetti Bros. e Freaks Out di Gabriele Mainetti, chiudiamo, ormai, questo 2020 nel segno delle giovani leve.

I Predatori: la Trama

I Vismara sono una famiglia di Ostia, invischiata nel traffico di armi e costretta a rifugiarsi nella fede fascista per trovare un riferimento nella complicata vita del litorale romana.

I Pavone sono una ricca famiglia borghese di Roma. Padre medico, madre regista e figlio problematico: studente appassionato di Nietzsche, ma a causa delle sue instabilità tagliato fuori dalla spedizione che avrebbe riesumato il cadavere del filosofo per studiare la psicosomatica della sua follia.

Un venditore di orologi e una bomba legheranno il destino di queste due famiglie, in uno scontro che mette in luce il grande carnevale umano della realtà.

Cast

  • Massimo Popolizio Pierpaolo Pavone
  • Manuela Mandracchia Ludovica Pensa
  • Giorgio Montanini Claudio Vismara
  • Pietro Castellitto Federico Pavone
  • Dario Cassini Bruno
  • Anita Caprioli Gaia
  • Marzia Ubaldi Signora Ines
  • Giulia Petrini Teresa
  • Liliana Fiorelli Paola
  • Claudio Camilli Carlo Vismara
  • Nando Paone Nicola Fiorillo
  • Antonio Gerardi Flavio Vismara
  • Vinicio Marchioni Venditore Di Orologi

Trailer

I Predatori: la Recensione

I Predatori e Favolacce: un dittico che non ti aspetti

Pietro Castellitto non è l’unica giovane promessa di questo anno così complicato per il Cinema e per la vita in generale. Il film italiano più chiacchierato dell’anno è senza dubbio Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, già premiati ai Nastri d’Argento per la migliore opera prima con La terra dell’abbastanza.

Non è un caso che condividano due riconoscimenti analoghi, per due film che fanno della scrittura il loro più grande punto di forza. Silenziosa in Favolacce, che lascia al fascino del non-detto la ricostruzione del prima e del dopo di un mondo dai contorni eterei.

L’altra ipertrofica, variopinta, ricca di riferimenti ed ispirazioni, che si abbandona spesso invece ad un equilibrato nonsense. Il primo è miglior sceneggiatura a Berlino, I Predatori nella sezione Orizzonti del Festival del cinema di Venezia.

Vanno così a formare un dittico curioso, non solo per i riconoscimenti che il cinema italiano ottiene nei grandi festival. Entrambi partono dall’universo del conurbato di Roma, spingendo al limite i paradossi di una società che relega gli ultimi dietro gli ultimi.

I Predatori, ovvero il coraggio del grottesco

Dove però Favolacce si avviluppa in una spirale inesorabile, tra un’apocalisse sociale e una condanna generazionale che suona come una sentenza di morte, I Predatori sceglie una strada completamente diversa.

Se l’universo di Favolacce sembrava sospeso nello spazio e nel tempo di una Spinaceto praticamente immateriale, Castellitto torna nella realtà fisica di Roma. Al monismo sociale dei D’Innocenzo, che confezionano un ritratto in campo medio della casta plebea, I Predatori sostituisce due mondi in rotta di collisione.

Roma e Ostia, borghesi e borgatari, entrambi accomunati da una profonda crisi identitaria: due mondi distanti e incompatibili, ma forse sottilmente connessi da eventi imprevedibili. E il passo dalla dialettica di un contraddittorio al grottesco è brevissimo, se a Pietro Castellitto non interessa assolutamente la via al cinema di denuncia.

Le contraddizioni sociali vengono assunte come un postulato praticamente naturalistico, mentre il discorso filmico verte su tutt’altra materia. Da questi due mondi che collassano l’uno sull’altro Castellitto è stato capace di estrarre la carica grottesca di una realtà complessa e beffarda, che si fa parodia di se stessa.

Il grottesco come estetica e metodologia

Così ne parla Mejerchol’d nel suo saggio Del Grottesco. Castellitto sembra fare fede a questa definizione, facendo del grottesco il proprio paradigma. L’atmosfera straniante non è definita a priori, ma è ottenuta da numerosi accorgimenti sia in fase di scrittura, che di messa in scena.

E se spesso nei tempi scenici dilatati Castellitto trova l’ingrediente chiave del suo bizzarro carnevale, è nella recitazione il cuore pulsante de I Predatori. Ciascun membro del nutrito cast offre un’interpretazione capace di essere allo stesso tempo sopra le righe e perfettamente inserita nell’atmosfera dell’opera.

Ma d’altronde, ancora Mejerchol’d, individuava proprio nell’attore e sul suo lavoro di autenticità sul personaggio il fulcro del grotesque. Il personaggio di Federico si presta alla perfezione per questo tipo di approccio profondamente teatrale.

Pietro Castellitto ha sviluppato I Predatori proprio intorno al ruolo da lui interpretato, facendone un carattere centrale, capace di essere il suo degno alter-ego non solo a livello fisico, ma anche veicolo della sua visione del cinema.

Una tragedia corale senza eroe

Federico vive quindi in bilico tra due tensioni naturalmente opposte. Da un lato è un tassello essenziale dello strambo coro di personaggi che nutre questa tragicommedia, dall’altro tenta di elevarsi a eroe, catalizzando la tragedia. Ed è qui che nasce lo stravagante di un ragazzo che tenta di sovvertire un mondo accademico che lo rifiuta.

In fondo il tema de I Predatori è chiaro. Non ci sono prede, ma solo persone che inseguono disperatamente qualcosa, talvolta identificato con la felicità. Come Federico, tutti i personaggi si rivelano profondamente distruttivi e autodistruttivi. Nella perpetua ricerca tutti finiscono per danneggiare qualcuno, ma il film glissa ironicamente sulle colpe e i fantasmi di ognuno di loro.

Così I Predatori toglie la veste della tragedia corale per mostrare la miscela esplosiva di commedia che è nella sua essenza. Dalla situation comedy a punte di screwball e slapstick, senza mai rinunciare a quel black humour che si trasforma, senza alcuna remora, in politically incorrect.

A metà strada tra alcune sceneggiature di Virzì e Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola, Pietro Castellitto firma una grande pièce. Dimostrando di saper padroneggiare le forme elementari del linguaggio cinematografico, I Predatori è davvero un esordio imperdibile. E per la situazione in cui versa il Cinema oggi, e il Cinema italiano oggi, Pietro Castellitto sembra proprio uno di quei nomi di cui avevamo bisogno.

Continua a seguirci su La Scimmia Pensa per recensioni e approfondimenti!

Leonardo Di Nino

Condividi
Pubblicato da
Leonardo Di Nino