Quarantena Cinefila | Ottant’anni di Cinema in 8 film fondamentali

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Quarantena, ovvero: il periodo migliore per (ri)scoprirsi cinefili. 8 film fondamentali

’10: Holy motors è l’elegia del cinema

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Difficile cercare di definire un film come Holy Motors. Due attori alle prese con il motion capture, un lepricauno che irrompe in un cimitero e conquista un fotografo. Un concerto per fisarmoniche in un’oscura abbazia, il commiato di un malato terminale. L’incontro con l’amore e l’addio definitivo. La missione di un sicario travestito da Uomo Ragno. Tutto ciò in ventiquattro ore della quotidianità di Oscar, protagonista il cui nome rimanda direttamente al gioco di parole con cui Leos Carax ha costruito il suo pseudonimo.

Una sorta di Uno, nessuno e centomila della contemporaneità, una grande riflessione sul tema della maschera. Per decifrare però questa eccentrica composizione è indispensabile il motivo meta-cinematografico iniziale. Un pubblico immerso nelle tenebre di una sala, un pubblico senza volto, senza alcuna sfumatura emotiva. A partire da questa sequenza chiave, Holy Motors potrebbe essere il disperato tentativo di estendere il cinema alla realtà, di renderci tutti attori sul palcoscenico della vita, unico e grande film.

Al contrario, potrebbe essere anche l’amara consapevolezza di un cinema ormai morto. Di un cinema che ci lascia impassibili, senza alcuna espressione in volto, e che tenta di meravigliarci con trovate al limite del grottesco. Da queste due possibili letture il senso della complessa narrazione di Holy Motors. Un film capace di straniarci, di proiettarci in mezzo a quel pubblico tenebroso e costringerci ad interrogarci su quale sia l’essenza del cinema. E se quest’ultima domanda è difficile da formulare, una delle possibili risposte è sicuramente Holy Motors.

A contendersi il titolo di film del decennio…

Sicuramente Mad Max Fury Road. Degli ultimi anni non è possibile non citare inoltre i due capolavori di Paul Thomas Anderson, The Master e Il filo nascosto. Anche Melancholia di Lars Von Trier rientrerebbe tranquillamente in qualsiasi classifica, così come Under the Skin di Jonathan Glazer. Nel finale abbiamo avuto un trittico straordinario di tre registi vicini alla conclusione della propria carriera: The Irishman di Martin Scorsese, Dolor y Gloria di Pedro Almodovar, J’accuse di Roman Polanski. Siccome non siamo ai Cahiers du Cinéma non ci sarà Twin Peaks, ma per chi volesse un’esperienza unica c’è il vessatorio cinema di Lav Diaz, con il suo Leone d’oro The woman who left.

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