Richard Jewell, la recensione del nuovo film di Clint Eastwood

Richard Jewell uscirà nelle sale italiane a partire dal 16 gennaio.

Richard Jewell recensione
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Centoundici feriti, due morti. Numeri che potevano essere molto più grandi, se non fosse stato per Richard Jewell, un eroe americano dato in pasto ai media. Perché in fin dei conti, come il cinema insegna, il mostro va sbattuto in prima pagina. Sempre, anche quando non c’è, anche quando magari non esiste. O non è tale fino a che un martello di una corte sbatte per chiudere una sentenza. 

Una triste storia americana, quella portata in scena da Clint Eastwood che, dopo il bellissimo Il Corriere – The Mule, riprende il percorso su storie di vita americane realmente accadute. Un cerchio che forse si chiude o magari continuerà giacché il novantenne regista pluripremiato non sembra avere intenzione di posare la macchina da presa. 

Il film racconta la storia dello sfortunato Richard Jewell, che nel 1996, durante le olimpiadi di Atlanta, riuscì a contenere i danno di un attentato dinamitardo. Alla disperata ricerca di un colpevole, l’FBI, qui capitanata da un Jon Hamm che sembra essere uscito da Mad Men, inizia ad avere qualche sospetto proprio sul trentatreenne addetto alla sicurezza. 

Complice una fuga di notizie, i media decidono già che è proprio Jewell il colpevole, trascinandolo insieme alla madre in tre mesi a dir poco infernali. Da un lato, i federali che svolgevano il proprio lavoro in base a pregiudizi. Dall’altro, i media che già avevano deciso chi dovesse essere il colpevole. 

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Tuttavia, non c’è uno straccio di prova concreta che renda Jewell effettivamente colpevole, se non la sua genuina ingenuità verso un mondo che ha sempre rispettato e desiderato, quello della divisa. Proteggere e servire, combattere i “bad guys”, come dice a sua madre Bobi, una perfetta Kathy Bates. Ma sotto la lente d’ingrandimento ci va proprio lui e non i cattivi ragazzi. 

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Richard Jewell è un film che racconta una storia attraverso la percezione di un fatto storico senza abbracciare l’estetica del legal thriller. Non servono prove allo spettatore. Sappiamo che non è stato lui a mettere quella bomba e fin da subito non possiamo far altro che empatizzare con il perfetto Paul  W. Hauser, che sembra essere nato per questo ruolo, e la sua famiglia, trascinati in un vero e proprio calvario. Il senso di tenerezza verso il protagonista viaggia al pari di quello claustrofobico che si ha quando ci sentiamo costantemente osservati. Perfette in tal senso le riprese con primissimi piani durante gli assalti dei giornalisti. 

Ciò che però balza all’occhio più di ogni altra cosa è la volontà di Clint Eastwood di levarsi qualche sassolino dalla scarpa, scagliandosi contro tutto ciò che caratterizza l’America oggi. Tutto il mondo a stelle e strisce viene messo a nudo e sullo stesso piano. 

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Ruolo fondamentale lo assumono i media, rappresentati nell’arrivista Kathy Scrugges (Olivia Wilde), che incarna un tipo di giornalismo ben definito, fatto di pregiudizi verso quel tipo di persone che magari non rispettano i ruoli sociali. Maschio, bianco, etero, over trenta, obeso, ancora a casa con la madre, amante delle armi e delle forze dell’ordine. Tanto basta ad un determinato femminismo d’accatto per creare ad hoc quello che è un vero e proprio mostro. 

Alle volte è così ma altre volte no. Almeno finché non c’è un martello a sbattere sul tavolo di una corte. E sempre con la speranza che nel pregiudizio non cada anche il governo stesso, rappresentato dall’FBI, incapace ad indagare ma capace ad approfittarsi di un debole, ingenuo tanto quanto il Kevin Malone di The Office (ci si perdoni il paragone) e come Richard Jewell.

A Clint Eastwood non piacciono i pregiudizi, tantomeno le etichette. Con Richard Jewell lo dimostra e lo sottolinea, in barba a chi ha sempre giudicato l’attore regista in base, per l’appunto, ai pregiudizi. Come se ce ne fosse il bisogno di dirlo, Eastwood sforna il suo ennesimo grande film su una triste storia americana, sulla falsa riga del suo Sully, la cui morale comune è che gli eroi, oggi, non piacciono a nessuno. A differenza dei colpevoli ad ogni costo. 

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