Cosa resterà degli anni ’10

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5. L’inaspettata emancipazione del pop

Fino a qualche anno fa, e certo fino agli anni ’10, il termine pop equivaleva, in ambiente musicofilo, più o meno ad un epiteto. Sinonimo di musica commerciale, creata a soli fini di vendita, dipendente da cura dell’immagine e da hit create ad hoc da team di autori. Questo non è cambiato, ma nell’epoca dei social non stupisce che i cantanti (e soprattutto le cantanti pop) abbiano iniziato, in virtù del proprio sapiente apparire, ad esercitare sul pubblico un ascendente sempre più considerevole.

Una responsabilità che però, inaspettatamente, ha comportato prese di posizioni artistica sempre più forti; che, pur non allontanandosi dalla mira primaria del genere (i soldi) lo hanno aperto a cambiamenti ed evoluzioni insospettabili.

Grimes feat. i_o – Violence, 2019

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Lavori come ANTI di Rihanna, o Lemonade di Beyoncé, entrambi del 2016, hanno mostrato da parte delle due cantanti una straordinaria consapevolezza delle possibilità date dai loro ruoli. Possibilità sfruttate appieno, nell’allargamento dei confini e del concetto di pop non solo verso tendenze prevedibili e modaiole, ma in direzioni molteplici e avvedute.

Altre cantanti, come Sia Furler o Ariana Grande, hanno mostrato la medesima volontà di crescita, mentre in parallelo la nascita di figure più alternative ancora ha dato vita al cosiddetto “dark pop”, versione anti-commerciale di una musica commerciale che farebbe venire i capelli bianchi a Britney Spears. Si parla ovviamente di Lana Del Rey, Grimes, St. Vincent, e naturalmente di Billie Eilish.

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Sullo sfondo dell’ondata #MeToo, queste cantanti hanno abbracciato i nuovi stigmi del girl power rifiutando di vivere le loro carriere da “popstar” in maniera passiva e acritica (come la succitata Britney), e proponendosi anzi di infondere tutto l’impegno possibile in una musica che possa essere pop e arte al tempo stesso. Un po’ quell’art pop teorizzato da Lady Gaga a inizio anni ’10, e poi proseguito in termini volutamente esasperati (ed esasperanti) da Taylor Swift, Miley Cyrus, Dua Lipa.

Una musica, in tutte le sue moderne sfaccettature, industriale e consapevole di esserlo: ma proprio per ciò sempre auto-critica e, quando possibile, persino intelligente. Certo, raramente si è giunti ai livelli di una Björk, per esempio. Ma il pop moderno non è certo più quella scatola vuota di suoni carini e intrattenimento che è stato dagli anni ’80 agli anni ’00.

Lana Del Rey – Videogames, 2011

6. Dubstep, Trap, K-Pop

Il genere dubstep, di grande successo specialmente a inizio anni ’10, è quel tipo di elettronica nella quale ci si imbatte non appena ci si affaccia alle tendenze di maggior popolarità in questo territorio musicale e in questo periodo. Spesso il termine è stato usato impropriamente, per indicare qualunque produzione che facesse uso di determinati meccanismi come il drop. Il nome più noto collegato a questo genere (o almeno, alla sua versione più popolare) è stato certamente Skrillex, vero e proprio “poster boy” di tutta questa musica.

Mentre elementi di questo suono sono penetrati nelle produzioni pop arrivando ad un pubblico sempre più ampio, autori fondamentali per il genere, come Burial, sono stati paradossalmente sempre più ignorati. Ciò in favore di una concezione appunto semplicistica del dubstep, che ha anche fatto sì che la popolarità di tale musica scemasse, tempo la metà degli anni ’10.

Skrillex feat. Sirah – Bangarang, 2012

Per quanto riguarda la tanto discussa trap, abbiamo parlato con attenzione di questo influente genere in questo articolo. In generale, si è trattato molto più spesso di un’etichetta che di un sottogenere del rap vero e proprio; etichetta applicata a stilemi quali l’auto-tune e l’utilizzo intensivo della tastiera Roland TR-808. In questo senso, la definizione è tornata utile alla popolarità di un ampio numero di artisti, da Travis Scott ai Migos, e da Cardi B a Post Malone.

Liminarmente, il genere si è fuso (e viene spesso confuso) con altre inclinazioni del rap contemporaneo, come il cosiddetto “mumble rap”, dalle tendenze emo/lo-fi come quelle della musica di XXXTentacion, Lil Peep e Juice Wrld. Collegamento improprio dato che questi artisti, lungi dall’affidarsi solo all’808, hanno sperimentato anche con altri generi come metal, elettronica e neo-soul.

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Post Malone feat. 21 Savage – Rockstar, 2017

La popolarità della musica coreana, sempre prominente a fianco di quella giapponese nelle ultime decadi, è decollata notevolmente negli anni ’10. Diverse boy band e girl band coreane, prodotte da un’industria mirante a questo preciso scopo, hanno invaso le charts occidentali adottando l’estetica dei gruppi pop anni ’90/’00 associata a sonorità EDM e rap moderne. Gli artisti di questa industria sono stati preparati con lunghi anni di allenamento, al fine di diventare perfette popstar.

Gruppi come i BTS o le Blackpink, spinti da media occidentali come Billboard, hanno ottenuto un enorme successo, raccogliendo un ampio seguito di fan e proponendo un pop disimpegnato e ingenuo. Qui si può ben vedere la differenza con il pop più emancipato raggiunto nel frattempo nei nostri paesi. L’arretratezza di pensiero e di stile è evidente, e non manca di risvolti tragici: diversi artisti k-pop, pressati dalla freddezza dell’industria e sconvolti dall’effimerità del successo tanto agognato, si sono tolti la vita. Tra questi Jonghyun, Sulli e Goo Hara.

BLACKPINK – Kill This Love, 2019