Cosa resterà degli anni ’10

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3. Verso una musica universale?

La possibilità di collaborare con artisti provenienti da tutte le parti del mondo, assieme alla facoltà di accedere a decine e decine di gigabyte di musica online in qualunque momento, hanno fatto sì che gli artisti siano stati, in quest’ultimo decennio, influenzati da suoni anche molto diversi.

Fino a inizio millennio, circa, le band musicali erano ancora fortemente segnate dalla musica “sul territorio” (esempio: la scena garage blues di Detroit). Con Internet tutto è cambiato, poiché un gruppo giapponese improvvisamente poteva ascoltare ed assimilare la lezione dei gruppi hardcore punk americani inizio anni ‘80, o una artista pop inglese era in grado di riscoprire l’euro-disco fine anni ‘70.

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Questo ha portato da una parte ad una serie di movimenti di riscoperta, come quello anni ‘80 (vedi sopra), e dall’altra, molto più notevolmente, all’abbattimento dei confini tra i generi. Confini che, appunto, rispondevano a definizioni culturali territoriali (per esempio: il grunge è nato a Seattle, non a New York o a Philadelphia).

Con la rete tali limitazioni sono venute a mancare. Ogni artista è stato in grado di attingere ad un archivio pressoché illimitato, capace di guidarlo verso qualunque genere o stile a prescindere da nazionalità, etnia e situazione economico/sociale.

Kero Kero Bonito – Only Acting, 2018

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Era solo questione di tempo, date queste condizioni, perché i suddetti artisti iniziassero a voler fare più cose contemporaneamente. Perché suonare “solo” rock, quando ci si può dedicare a pop/rock sintetico con influenze disco music e house ma anche segnate dalla psichedelia anni ‘60 e dall’indie contemporaneo?

Gli artisti più lungimiranti hanno allora iniziato a smantellare ogni paratia e ad abbattere ogni tabù in merito. La vera emancipazione della musica anni ‘10, in luogo di quella (ormai anacronistica) della “ribellione” musicale che si è fermata invece, alla meglio, negli anni ‘90.

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Un esempio eclatante è To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, un disco rivoluzionario nella sua idea di recupero di tutte le sonorità che hanno fatto la storia della black music, dal jazz al funk e dal soul al rap. Sonorità che vengono unite in un insieme omogeneo, ma allo stesso tempo libero e fortemente eclettico, che lascia spazio a tutto e a tutti, con un intento liberatorio e non più limitativo.

Le definizioni si sono rimescolate e si sono reinventage con i tempi, come è giusto, ma ciò è stato possibile solo perché con la rete si sono aperte infinite possibilità di ascolto, apprendimento, influenza e dialogo.

Poppy – X, 2018

4. “It’s been a long time since I rock and rolled…”

In una situazione tanto complessa, non è passata inosservata negli anni ’10 la crescente “inadeguatezza” della musica rock. Inadeguatezza dovuta più che altro ad un legame retorico con valori che erano assolutamente imprescindibile fino a dieci o quindici anni fa, ma che oggi trovano posto a fatica nella complessità della post-realtà digitale.

Il risultato è che ogni gruppo rock che si atteggi forzatamente come tale finisce col creare un’involontaria auto-parodia, proprio perché risponde a modi di fare che possono sembrare oggi ridicoli quanto i tagli di capelli degli anni ‘80.

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Eppure, il revival del rock classico non si è fatto mancare. Gruppi come The Struts, Greta Van Fleet e Rival Sons hanno cercato specificamente di ricreare le musicalità del rock più classico anni ‘70, comprendendo un’imitazione nel vestiario e nella qualità dell’esecuzione. Parallelamente, artisti provenienti da realtà diverse hanno scelto di recuperare quello stesso rock classico in una vena però più nostalgica e allo stesso tempo consapevole del proprio anacronismo, e non volenterosa perciò di un “recupero”.

Tra costoro si contano Ty Segall, King Gizzard & The Lizard Wizard, Oh Sees e All Them Witches. In linea di massima, per quanto riguarda il rock, si può dire non che sia morto, ma che sia semplicemente “invecchiato” in un’epoca ultra-moderna nella quale, nel giro di vent’anni, è cambiato tutto.

Nothing But Thieves – Ban All the Music, 2015

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Ecco perché, agli osservatori e ascoltatori più attenti, la figura del chitarrista capelluto che propone il solito vecchio riff di chitarra distorto sembra ormai un’immagine vista e rivista. E che, in quanto tale, non ha più nulla di nuovo da offrire negli anni ’10. Allo stesso tempo, il pubblico rock si è rivelato inaspettatamente rigido, sordo alle nuove realtà interessanti del genere (Nothing but Thieves, Royal Blood, Wolf Alice) in favore dell’eterno ritorno di vecchie glorie come Pearl Jam, Guns ‘N’ Roses (ugh!) o addirittura AC/DC. Una strenua chiusura proprio laddove in precedenza ci si vantava di libertà e apertura.

Quando, invece, è proprio il rock “ibridato” ad essere invecchiato meglio, anche se per farlo si è dovuto rendere colpevolmente “commerciale”. Cosa che, secondo i metri di giudizio di uno ieri che è ormai quasi ieri l’altro, non si può perdonare. Tuttavia, ai fan sfegatati ed instancabili di questo genere (o della sua versione più pura) non rimane che rinchiudersi nella ascolto di LP vecchi di vent’anni, oppure accettare e cercare di comprendere questi nuovi cambiamenti.

Wolf Alice – Yuk Foo, 2017