The Odd Family: Zombie On Sale, il film vincitore del TOHorror

The Odd Family: Zombie on Sale vince meritatamente la diciannovesima edizione del TOHorror Film Fest. Ecco la nostra recensione

The Odd Family: Zombie on Sale TOHorror recensione
una scena di The Odd Family: Zombie on Sale
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The Odd Family: Zombie on Sale trionfa alla diciannovesima edizione del TOHorror Film Fest. La rassegna torinese ha proposto in questi giorni un programma molto ricco per gli amanti del genere horror e fantastico, con una sezione di film in concorso di notevole livello. A spuntarla è stato il regista coreano Lee Min-jae con la sua divertente commedia a tema zombie. La giuria composta da Federico Frusciante, Mariapaola Pierini e Antonio Tentori hanno motivato così la loro decisione:

Per aver saputo costruire, con notevole padronanza stilistica, una inedita variazione sul tema degli zombi, tra satira, apologo sociale e horror“.

Premi del TOHorror Film Fest

La giuria ha inoltre premiato con la menzione speciale il folle film russo Why Don’t You Just Die! di Kiril Sokolov. Il premio Antonio Margheriti per il film con la più spiccata inventiva artigianale è andato a The Invisible Mother di Jacob Gillman e Matt Diebler e il premio Anna Mondelli per la miglior opera prima a Tous les Dieux du Ciel di Quarxx (che abbiamo apprezzato particolarmente anche noi).

The Odd Family: Zombie on Sale: recensione

Il film racconta la storia di una famiglia piuttosto atipica che vive nel paesino di Poonsang gestendo una sgangherata stazione di servizio. L’equilibrio già precario fra il vecchio Man-deok il cui unico sogno è quello di volare alle Hawaii, la moglie del figlio incinta e la figlia adottiva verrà messo a dura prova dall’arrivo nel paesino di uno zombie. Fra attimi di terrore e risate, lo accoglieranno nella loro strana famiglia.

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The Odd Family: Zombie on Sale TOHorror recensione
una scena di The Odd Family: Zombie on Sale

The Odd Family è in effetti un film molto ben riuscito, che va ad inserirsi in un percorso di grande crescita del cinema di genere coreano a cui stiamo assistendo ormai da anni. Lee Min-jae dimostra di poter essere dignitosamente accostato a film di grande successo come Train to Busan, uno degli ultimi casi del fenomeno Corea. Il giovane regista non ha paura di confrontarsi con film del genere, tanto da mostrarne un pezzo attraverso uno smartphone. Il film diverte molto, grazie a gag sempre riuscite che riescono a dare ritmo nella prima parte ed a stemperare la tensione dell’invasione di zombie dell’ultima parte. Ma è un film che sa anche fermarsi per parlarci di questioni più serie.

Torna ancora una volta il tema della famiglia, qui piuttosto simile (anche se non così estrema) a quella raccontata da Kore’eda in Un affare di famiglia.

Ma anche quello dell’accoglienza dello straniero, della vita semi-rurale e quasi arretrata dei paesini di campagna, così come quello della vecchiaia e, soprattutto, quello della mancanza di scrupoli dell’uomo quando si tratta di soldi. Gli zombie, infatti, sono il frutto di esperimenti di una compagnia farmaceutica andati male, prima morti e poi tornati in vita. Allo stesso modo, quando lo zombie (poi rinominato affettuosamente Jong-bi) arriva nel paese, la famiglia di Man-deok cercherà di sfruttarlo economicamente, poiché il suo morso pare ringiovanire le persone.

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Degna di nota è anche la componente visiva, grazie alla splendida e bucolica campagna coreana, fra campi di cavoli e boschi selvaggi. Il colpo d’occhio dell’autunno coreano è incantevole e riesce a far scorrere il film in maniera quasi sempre gradevole. Ci sono dei picchi, come la scena del matrimonio (impossibile da dimenticare), ma anche dei bassi. Il film di Lee Min-jae pare a volte perdersi nei suoi tanti temi, forse troppi. Le quasi due ore sembrano eccessive per quello che succede effettivamente sullo schermo. Un difetto su cui si può passare sopra visto l’alto livello generale, ma che purtroppo rende il film a tratti un filo ripetitivo e poco concentrato.

Un film quindi sicuramente consigliato a tutti, sia agli amanti del genere che non. La componente horror è infatti presente, ma non prende mai il sopravvento sulla parte più ironica o quella riflessiva. Da questo punto di vista è un film molto ben bilanciato, che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, come non sia necessario fare un film d’autore per parlare di temi importanti ed alti.

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